Archivi del mese: gennaio 2022

La barca del mondo naviga in acque agitate come mai.

Ha bisogno di sostegno per evitare il naufragio.

Ad offrire tale sostegno mira questa proposta…

   Avere il senso dell’umorismo significa possedere la chiave dell’allegria. E della santità. L’originalità di Don Bosco fu di aver dato un valore pedagogico alla gioia, al buon umore; cioè di avere, non soltanto accettato, ma anche condiviso come educatore quell’allegria aperta e gioiosa del giovane.

   Fu la pedagogia della gioia, in termini moderni della serenità; liberatoria quindi dalla nevrosi e stimolatrice di creatività, in quanto infondeva speranza, voglia di lavorare, di studiare, di vivere e di convivere.

   L’allegria non serve infatti soltanto alla distensione psichica del soggetto, ma è anche uno stimolo creativo ai suoi valori interiori e a un positivo comportamento sociale.

   San Domenico Savio, che a quattordici anni lo aveva ben capito, diceva: “Qui da noi la santità consiste nello stare molto allegri, per essere come il Signore. Il demonio teme le persone contente. Sappi che qui noi identifichiamo la santità con la grande allegria, perché siamo come il Signore. Il demonio ha paura della gente allegra.

   Il senso dell’umorismo, infatti,  è la capacità di vedere il lato buffo delle cose anche in situazioni tristi e spiacevoli.

   Un imbianchino cade dal secondo piano restando incolume. Una signora caritatevole gli offre un bicchiere d’acqua , poi domanda: “Mi scusi, da che piano bisogna cadere per avere un bicchiere di cognac”?

   Un giorno il professor Cagnotto entra in classe e vede scritto sulla lavagna: “Cagnotto asino!” Senza scomparsi, domanda: “Chi è che ha scritto il suo nome accanto al mio?”. Tutta la tensione si scioglie e la classe ride!

   Una volta un impiegato della ditta specializzata negli impianti d’aria condizionata continuava a dire che si trattava “di un prodotto della civiltà”. Dopo un po’, per liberarsi dall’importuno, il proprietario della villa disse: “Ma io non voglio prendermi una polmonite civile”.

   L’umorismo è segno di maturità. La prima volta che si ride di una battuta a proprie spese, si può dire di essere diventati adulti, notano tutti gli psicologi a qualsiasi scuola appartengano.

   L’umorismo rende simpatici, non fa forse sprizzare gioia attorno a sé che, ad esempio, aggiorna in modo scherzoso i vecchi proverbi? Qualche esempio:

“Chi dorme non piglia la curva”. “Il mondo è fatto a scale. Chi è furbo prende l’ascensore”. “Si dice il peccato, ma non il deputato”. “Chi tardi arriva, mal parcheggia”. “L’occasione fa l’uomo ministro”. “Chi fa da sé fa per tre… e crea quattro disoccupati”.

   L’umorismo è una forza. Li scriveva Sigmund Freud: “L’umorismo è il più potente mezzo di difesa. Permette  un risparmio di energia fisica.  Con una battuta di spirito blocchiamo l’irrompere di emozioni spiacevoli”.

   Non può essere che così. L’umorismo, infatti, sdrammatizza tutto. Sdrammatizza le cose più banali.

“Mi sono spaccato il pipistrello della mano sinistra” scherzava Totò. Sdrammatizza la morale: “Dopo il peccato di Adamo non si riesce più a commettere un peccato originale”. Sdrammatizza il matrimonio.

   Un tale va a confessarsi: “Padre, sono sposato”. “Ma questo non è un peccato”, risponde il confessore. “Me ne pento lo stesso”.

   Sdrammatizzagli imprevisti. Quando il futuro Papa San Giovanni XXIII fece l’ingresso come Patriarca a Venezia, un colombo gli lasciò cadere dall’alto un poco pulito ricordo. Gelo tra gli astanti. Il porporato sdrammatizzo: “Per fortuna non volano le mucche!”

   Sdrammatizza anche la religione. Un turista osserva il parco macchine del Vaticano e, scuotendo la testa, dice alla guida: “E pensare che tutto è cominciato da  un asino”!

   Sdrammatizza persino la morte: “Peccato che per andare in Paradiso non si possa prendere un taxi… ma un carro funebre”.

   Che cosa si vuole di più? Una cosa sola: scongiurare il buon Dio perché ai cinque sensi che già ci ha regalato aggiunga, subito subito, il senso dell’umorismo. Senza di esso saremmo terribilmente più poveri e infelici.

   Insomma, salvare l’umorismo non è in optional, ma un dovere sociale.

Un giorno Charles Schulz, il celebro disegnatore statunitense, autore di Linus e  del cane Snoopy, ha confidato: “Se mi fosse possibile fare un regalo alla prossima generazione, darei ad ognuno la capacità di ridere di se stesso”.

   Per riconoscere se anche nella famiglia va bene… basta chiedersi,  ogni tanto: “Ci divertiamo ancora insieme?”

Tratto dalla rivista:  IL BOLLETTINO SALESIANO.

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OGNI TANTO … UN TAGLIANDO DELL’ANIMA

 QUALCHE DOMANDA PROVOCATORIA PER UN ESAME DI COSCIENZA SUL BENESSERE RELAZIONALE

   Come conciliare l’esigenza prioritaria di collaborare tutti insieme alla causa del Regno di Dio con la esigenza della tenerezza servizievole nelle relazioni interpersonali comprese le relazioni di coppia?

   Se Dio si  incontra nella amabilità, cosa ne consegue sul piano delle relazioni in generale e in quelle coniugali e familiari?

   Cosa dedurre sul piano delle relazioni interpersonali (e anche coniugali e familiari) da questo aforisma: “Ogni incontro con Dio è preghiera, non ogni preghiera è incontro con Dio”.

   “Quando amate non dite “ho Dio nel cuore”, ma piuttosto “sono nel cuore di Dio” (Gibran). Da questa consapevolezza di fede, cosa può derivarne sul piano dei propri comportamenti nella quotidianità?

   A proposito di equilibro spirituale nella relazione di coppia (comprese anche le relazioni di persone consacrate), ecco la provocazione di un padre spirituale ad una coppia in crisi: “Qualche rosario in meno, qualche carezza in più”.

   Quando comunico con l’altro, come lo percepisco nel suo atteggiamento d’ascolto: stanco, distratto, poco attento, letteralmente sordo, indifferente…? E se fosse la proiezione di atteggiamenti miei quando a mia volta sto in ascolto?

   Fretta, abitudini e pregiudizi sono nocivi alla comunicazione nel “qui ed ora” ed ostacolano l’attitudine al servizio reciproco. Cosa derivarne in sede di relazione di tenerezza?

   Quanto e come contano nel servizio reciproco di tenerezza il senso del paradosso, dell’humour… considerando che dalla vita non si esce vivi?

   Quando non si accetta una realtà come tale (o come dono), essa si trasforma in problema. Applicando questo principio al problema del “sentirsi incompresi” o del “non riuscire a comprendere” o “non ce la faccio più”, cosa se ne può dedurre per uscire dal problema? “Non si può risolvere un problema con lo stesso modo di pensare che ha causato il problema” (Einstein)

   “Cosa succederebbe se scoprissi che il mio stesso nemico si trovi all’interno di me stesso, che sono io pertanto ad avere bisogno della elemosina della mia amabilità, che sono io il nemico da amare”? (C.G. Jung)

    “Se è pace che vuoi, cerca di cambiare te stesso, non gli altri. E’ più facile proteggersi i piedi con delle pantofole che ricoprire di tappeti tutta la terra”. (A. De Mello)

   Quando la stanchezza o la delusione ci fa arrivare a pensare: “Non cambierà mai niente in questa casa, in questa vita”,  perché non provare a pensare: “Nulla cambia, io cambio, tutto cambia”?

   “Gli occhi dello spirito cominciano ad essere penetranti solo quando quelli del corpo iniziano ad affievolirsi”. (Platone)

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CURIOSISSIMA QUESTA…

                            SPORCO E PULITO… ma come è possibile?

   La storia che ci racconta uno dei nostri rabbini vale più di una  teoria: “Due uomini cadono dentro un camino Uno ne esce fuori con la faccia sporca di fuliggine, l’altro pulito. Chi dei due va a lavarsi?”

  “Quello che ha la faccia sporca”, risponde l’interlocutore. “Sbagliato, – dice allora il rabbino – si lava quello che ha la faccia pulita. Vedendo il suo compagno sporco davanti a lui si dice: dal momento che lui è sporco, devo esserlo anch’io, dunque ho bisogno di andare a lavarmi. Mentre quello che è sporco, vedendo il suo compagno pulito, si dice: dal momento che lui è pulito devo esserlo anch’io. Dunque non ho bisogno di andare a lavarmi”.

   Ma poi il rabbino continua: “Due uomini cadono dentro il camino. Uno ne esce fuori con la faccia sporca di fuliggine, l’altro pulito. Chi dei due va a lavarsi”? “Quello con la faccia pulita”, risponde con entusiasmo il discepolo. “Sbagliato. Quello con la faccia sporca. Vedendo le sue mani coperte di fuliggine, si dice: sono sporco. Devo andare a lavarmi. Mentre quello con il viso pulito, vedendo che ha le mani pulite si dice: dal momento che non sono sporco non ho bisogno di lavarmi”.

   “Ho ancora una domanda da farti, – conclude il rabbino – due uomini cadono dentro un camino. Uno ne esce fuori con la faccia sporca di fuliggine, l’altro pulito. Chi dei due va a lavarsi?” “Sia quello sporco, sia quello pulito”, esclama trionfante il discepolo. “Sbagliato, – dice ancora il rabbino -. Se due uomini cadono in un camino è impossibile che solo uno dei due sia sporco. Devono per forza essere sporchi tutti e due! Quando un problema è mal posto, tutte le soluzioni sono false”.                                                                                                               

   QUANDO DUE PERSONE CADONO DENTRO IL CAMINO DELLA VIOLENZA,  CHE SI TRATTI DI EBREI O MUSULMANI, CRISTIANI, INDUISTI O BUDDISTI, SONO ENTRAMBE SPORCHE.

   MA QUANDO DUE PERSONE SI IMMERGONO NELL’UMILTA’ SONO ENTRAMBE PULITE, QUALI CHE SIANO LE LORO CONVINZIONI.

Tratto da: IL RE, IL SAGGIO E IL BUFFONE di Shafique Keshavjee (Einaudi 1998)

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Per facilitarci reciprocamente a praticare “Ama il tuo prossimo” che ne dite di “Essere Amabili”?

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Semplificare le cose complicate

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22 gennaio 2022 · 12:00

“Comunicare è una necessità, ascoltare è un arte”.

                                                                            Ascoltare è un’arte

Si ascolta senza sbirciare l’orologio.

Si ascolta con gli occhi accoglienti

che fanno capire a chi parla che rappresenta il mondo.

Si ascolta con simpatia, anche se non sempre si è d’accordo.

Si ascolta senza interrompere tutti i momenti e neppure

dando subito giudizi.

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SEME DI MEDITAZIONE

C’è da riflettere, soprattutto quando la misteriosa problematicità degli eventi della vita ci mette alle strette…

 PERCHE’MI SUCCEDE TUTTO QUESTO?   PERCHE’ NO?

   Fu chiesto a un ebreo come mai nella loro cultura ci fosse l’usanza di rispondere con una domanda a chi poneva  una domanda. E lui rispose: “Perché no?”

   Un simpatico brano di Vangelo (e non è l’unico) dove questa modalità comunicazionale è praticata, è il seguente.

     “Il giorno seguente, Giovanni era di nuovo là con due dei suoi discepoli  e fissando lo sguardo su Gesù, che passava, disse: «Ecco l’Agnello di Dio!».  

   I suoi due discepoli, avendolo udito parlare, seguirono Gesù.  Gesù, voltatosi, e osservando che lo seguivano, domandò loro: «Che cercate?».

    Ed essi gli dissero: «Rabbi (che, tradotto, vuol dire Maestro), dove abiti?».  Egli rispose loro: «Venite e vedrete».

    Essi dunque andarono, videro dove abitava e stettero con lui quel giorno. Erano circa le quattro del pomeriggio.”

                                                 (Giovanni 1:35-39)

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QUANDO tre C e tre T si “sposano”…

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MAGARI PUO’ AIUTARE…

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21 gennaio 2022 · 12:15

MA E’ PROPRIO COSI’?

                  “ANDRA’ TUTTO BENE” e “NIENTE SARA’ PIU’ COME PRIMA”.

                                               (Ma è proprio così?)

   Oggi mi frullano pensieri così…Dimmi come vivi il giorno e ti dirò come vivi i giorni. Proprio così mi suggerisce l’esperienza della pandemia in corso.

   Tanti ( forse tutti, chi più chi meno) vivono l’oggi nella speranza legittima che tutto finisca, che finiscano i problemi quotidiani del vivere… prima che finisca la vita.

   E se provassimo a giocar di paradosso e di metafora… con un pizzico di soave ironia pensando ad esempio che come si vive il segmento temporale della pandemia potrebbe rispecchiare come si vive l’intera semiretta temporale della vita?

   Ho rivolto a me stesso queste domande riflettendo sulle due espressioni nate nei primi tempi di questa dura esperienza: “ANDRA’ TUTTO BENE” e “NIENTE SARA’ PIU’ COME PRIMA”.

   Dalla psicologia ho imparato che il pensiero o la preoccupazione del futuro contiene sempre una certa dose di ansia (magari in grado di “infettare” il presente alla pari del virus).

   E spiego il perché queste due frasi, di per sé nate per incoraggiare, possano poi finire, paradossalmente, per frenare coraggio e fiducia.

   Semplicemente perché sono monche, sono incomplete… “Andrà tutto bene… a patto di…” e “Niente sarà come prima… a condizione che…” si potrebbe concludere.

   Oppure, unendo tra loro le due frasi, per esempio, ecco la conclusione possibile che ne esce: “Andrà tutto bene… se niente sarà come prima”.

   Che è già qualcosa, se non ci si lascia impressionare dall’uso euforico e un tantino esagerato della parola “tutto” e della parola “niente”…

   Ma c’è qualcosa da aggiungere. “Andrà tutto bene” se si prende coscienza che già ora va tutto bene…per il fatto di essere vivi, sofferenti ma vivi.

   Ma non è esperienza della quotidianità questa? Non è forse vero che “Ogni giorno ha la sua pena”?

   E “va tutto bene”, in ragione del fatto che si sta vivendo il presente e che “niente è come prima” se ci si rende conto veramente che non c’è alternativa al vivere il “qui ed ora” senza ripetizione del prima e senza la troppa preoccupazione per il dopo.

   “Va tutto bene” anche se “Niente è come prima” se si è convinti di vivere (anche con un po’ di fatica fantasiosa) l’oggi non come fosse il primo giorno e nemmeno come fosse l’ultimo, ma semplicemente accettando umilmente che sia, misteriosamente, l’unico.

   E’ impresa ardua vivere “come se”, meno ardua, seppur impegnativa, semplicemente “vivere”.

Anche e soprattutto perché convinti nel profondo dell’anima che “il presente è l’unico punto di contatto tra l’eternità e il tempo” (S.C. Lewis in LE LETTERE DI BERLICCHE) ed è lì che è appostato, dall’ eternità, Dio.

   La qual considerazione mi fa venire in mente una riflessione dello psicologo Carl Gustav Jung: “Molte nevrosi dell’uomo moderno sono riconducibili ad un non risolto problema religioso”.

   Ed ecco il paradosso o la metafora: “Dimmi come vivi la pandemia e io ti dirò come vivi la vita”. Vivere la vita come “eterno” problema da risolvere porta con sé una acutizzazione del medesimo problema quando si attraversano periodi marcatamente più travagliati, come appunto quello che si sta vivendo.

   Se un ragno vivesse come problema il non doversi impigliare nella ragnatela da lui medesimo costruita… sarebbe un bel problema!

   Vivere, invece , la vita come realtà (dura realtà, talvolta o spesso) lenisce il bruciore della sofferenza esistenziale o dell’angoscia di morte.

   Come dire, in conclusione: “Dimmi come vivi la pandemia e io ti dirò come vivi la vita”, senza dimenticare quanto affermava Alberto Einstein: “Non si può risolvere un problema con lo stesso modo di pensare che ha causato il problema”.

   E il cerchio si chiude… o si riapre.

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