SE IL DESIDERIO IMBASTARDISCE… E DIVENTA DIRITTO?
Si incomincia col desiderare qualcosa che non si ha, poi si pensa di poterla, in qualche modo, avere quella cosa, quindi si arriva magari al punto di invidiare qualcuno che quella cosa già ce l’ha, per finire poi di pretenderla di diritto. Sembra essere proprio questa la dinamica sotterranea capace di alimentare tutto quel gran parlare di “diritti”, di “diritti civili” (e tra poco magari anche di quelli “incivili”…) dell’uomo moderno. Sembra quasi di vivere il passaggio dal “tutto è grazia” al “tutto è diritto”. E sembra proprio che il treno culturale d’oggigiorno sia finito su quel binario morto oltre il quale l’orizzonte dell’infinito solleciterebbe comunque un passo avanti , proprio quel passo capace di dare quiete all’anima e senso al suo muoversi verso tale orizzonte. E mi sono definitivamente convinto di questo, cogliendo al volo l’affermazione di un carneade giudice mentre sfilava sulla passerella della moda culturale d’un anonimo telegiornale: “Nessuno può negare il diritto alla genitorialità” sentenziava a proposito (e a sproposito) di “eterologa”. Siamo sotto Natale e mi corre l’obbligo (che è pure scelta conveniente e salutare) di essere buono, ma qualche domanda mi spinge dentro vogliosa di uscire. Ma davvero, signor giudice, nessuno può negarlo questo diritto? Proprio nessuno? Neppure quel “Genitore” allo stato puro che è il Creatore? Quel “Genitore” supremo che ha fatto della “creatività” il suo fiore all’occhiello caratterizzandola come “dono” da offrire alla sua creatura nella misura e nei modi soltanto a Lui, per fortuna, conosciuti? Ma allora, se la logica commerciale del diritto – dovere dovesse averla vinta su quella creaturale del dono verrebbe sgretolato il DNA della creazione (acrostico che curiosamente si potrebbe leggere Destino Naturale Amore) e quindi si dovrebbe poter dire: “Nessuno può negare il diritto alla ricchezza” (diritto di rubare?). Di questo passo si potrebbe addirittura concludere con la rivendicazione del “diritto a nascere” sfilando senza bandiere e bandana sulle inesistenti piazze del nulla e, una volta curiosamente nati, di “diritto al Paradiso” arrogantemente urlato davanti si portoni chiusi (o sempre aperti) dell’al di là… Ma questa storia di leggere tutto in chiave di diritto da rivendicare contro qualcuno, è vecchia. Ci aveva già provato Lucifero (invidioso che il Dio lo fosse tutto Lui) a cominciare a desiderare di poterlo fare anche lui il mestiere di Dio e poi a pretenderlo… Non aveva capito (o forse non voleva capirlo) che “operari sequitur esse” e cioè che non si può fare il mestiere di Dio se non si è Dio. E sappiamo come è finita e come andrà a finire… Ci avrebbero provato anche Eva ed Adamo (a cui Lucifero, fresco di esperienza del male, aveva sibilato all’orecchio che “avrebbero potuto diventare come Dio” qualora avessero fatto esperienza completa dell’esistenza, compresa ovviamente quella del male). Come se si dovesse essere una gallina per rendersi conto che un uovo è marcio! E se invece, cambiando marcia e cambiando binario, si percorresse fino in fondo la strada del desiderio così da evitargli di imbastardirsi? E se quando il desiderio di qualcosa comincia a stuzzicarci dentro ci si chiedesse verso dove vuole condurci? E’ risaputo che il desiderio, come affermava padre Alfredo in una delle sue succose meditazioni “crea movimento” (l’etimologia latina – de sidereis – richiama le stelle). Ma movimento verso cosa? Movimento oltre l’oggetto superficialmente vissuto come “da avere” soltanto perché attraente… e magari di lì a poco anche pensato come da” pretendere” ? Non sembra, visto il risultato di delusione vergognosa successivo alla soddisfazione del desiderio… Il desiderio crea sì movimento, ma verso il dentro del bisogno nascosto e profondo e non verso il fuori dell’apparenza attraente. Laddove Il desiderio spinge ad avere, il bisogno induce ad essere. Ed allora si potrebbe arrivare ad affermare, e neppur troppo paradossalmente, che il desiderio di avere induce al bisogno di essere… quello che invece si vorrebbe soltanto avere. Il desiderio di avere conduce al riconoscimento del bisogno di essere… Eva avrebbe cioè dovuto “essere” quel “frutto bello e gradevole” nella relazione col suo uomo (tra l’altro erano stati creati “in relazione” e perché allora quella scelta “individuale” di cogliere quel frutto senza “confrontarsi con il suo uomo?). Come avrà modo di dire un poeta: “Amare è avere fame insieme e non mangiarsi l’un l’altro”. Oppure come dirà ancor prima Agostino (che di desideri soddisfatti aveva fatto il pieno): “Desidera ciò che hai”. E ognuno di noi “ha” di “essere” creatura di un Creatore, e figlio di un Padre… Padre di quel Figlio che non ha rivendicato nessun diritto, non “ha” inscenato alcuna manifestazione ma si è limitato a “essere” manifesto del Padre. Gli è costato caro non essere stato geloso del suo “privilegio – diritto alla divinità”, ma ci ha ottenuto un enorme vantaggio, quello per il quale siamo qui oggi a ringraziare… perché “tutto è grazia”. A ringraziare, senza averne diritto… e neppure come dovere da assolvere, ma come gioia pura dell’anima. Gratuità e gioiosità non appartengono alla logica del diritto – dovere e sono gli unici ambiti del creato e dell’umano indistruttibili… come scriverà Gibran: “La tempesta può disperdere i fiori, ma non è capace di distruggere i semi”.