“ANDRA’ TUTTO BENE” e “NIENTE SARA’ PIU’ COME PRIMA”.
(Ma è proprio così?)
Oggi mi frullano pensieri così…Dimmi come vivi il giorno e ti dirò come vivi i giorni. Proprio così mi suggerisce l’esperienza della pandemia in corso.
Tanti ( forse tutti, chi più chi meno) vivono l’oggi nella speranza legittima che tutto finisca, che finiscano i problemi quotidiani del vivere… prima che finisca la vita.
E se provassimo a giocar di paradosso e di metafora… con un pizzico di soave ironia pensando ad esempio che come si vive il segmento temporale della pandemia potrebbe rispecchiare come si vive l’intera semiretta temporale della vita?
Ho rivolto a me stesso queste domande riflettendo sulle due espressioni nate nei primi tempi di questa dura esperienza: “ANDRA’ TUTTO BENE” e “NIENTE SARA’ PIU’ COME PRIMA”.
Dalla psicologia ho imparato che il pensiero o la preoccupazione del futuro contiene sempre una certa dose di ansia (magari in grado di “infettare” il presente alla pari del virus).
E spiego il perché queste due frasi, di per sé nate per incoraggiare, possano poi finire, paradossalmente, per frenare coraggio e fiducia.
Semplicemente perché sono monche, sono incomplete… “Andrà tutto bene… a patto di…” e “Niente sarà come prima… a condizione che…” si potrebbe concludere.
Oppure, unendo tra loro le due frasi, per esempio, ecco la conclusione possibile che ne esce: “Andrà tutto bene… se niente sarà come prima”.
Che è già qualcosa, se non ci si lascia impressionare dall’uso euforico e un tantino esagerato della parola “tutto” e della parola “niente”…
Ma c’è qualcosa da aggiungere. “Andrà tutto bene” se si prende coscienza che già ora va tutto bene…per il fatto di essere vivi, sofferenti ma vivi.
Ma non è esperienza della quotidianità questa? Non è forse vero che “Ogni giorno ha la sua pena”?
E “va tutto bene”, in ragione del fatto che si sta vivendo il presente e che “niente è come prima” se ci si rende conto veramente che non c’è alternativa al vivere il “qui ed ora” senza ripetizione del prima e senza la troppa preoccupazione per il dopo.
“Va tutto bene” anche se “Niente è come prima” se si è convinti di vivere (anche con un po’ di fatica fantasiosa) l’oggi non come fosse il primo giorno e nemmeno come fosse l’ultimo, ma semplicemente accettando umilmente che sia, misteriosamente, l’unico.
E’ impresa ardua vivere “come se”, meno ardua, seppur impegnativa, semplicemente “vivere”.
Anche e soprattutto perché convinti nel profondo dell’anima che “il presente è l’unico punto di contatto tra l’eternità e il tempo” (S.C. Lewis in LE LETTERE DI BERLICCHE) ed è lì che è appostato, dall’ eternità, Dio.
La qual considerazione mi fa venire in mente una riflessione dello psicologo Carl Gustav Jung: “Molte nevrosi dell’uomo moderno sono riconducibili ad un non risolto problema religioso”.
Ed ecco il paradosso o la metafora: “Dimmi come vivi la pandemia e io ti dirò come vivi la vita”. Vivere la vita come “eterno” problema da risolvere porta con sé una acutizzazione del medesimo problema quando si attraversano periodi marcatamente più travagliati, come appunto quello che si sta vivendo.
Se un ragno vivesse come problema il non doversi impigliare nella ragnatela da lui medesimo costruita… sarebbe un bel problema!
Vivere, invece , la vita come realtà (dura realtà, talvolta o spesso) lenisce il bruciore della sofferenza esistenziale o dell’angoscia di morte.
Come dire, in conclusione: “Dimmi come vivi la pandemia e io ti dirò come vivi la vita”, senza dimenticare quanto affermava Alberto Einstein: “Non si può risolvere un problema con lo stesso modo di pensare che ha causato il problema”.
E il cerchio si chiude… o si riapre.
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