Quando si ride viene coinvolto l’emisfero destro del cervello, dove ha sede appunto il cosiddetto “centro del riso”.In pratica, questa zona cerebrale, quando arriva uno stimolo che può essere esterno, una barzelletta, o interno, un ricordo, si attiva e si ride. Partono così dei segnali che vanno alla corteccia cerebrale e al sistema nervoso periferico e pertanto alla liberazione di diverse sostanze utili per l’organismo. Ad aumentare durante la risata sono soprattutto due importantissimi neurotrasmettitori, la dopamina e la serotonina.Sono il linguaggio chimico del nostro cervello e guarda caso sono proprio queste le sostanze la cui diminuzione causa la depressione. Chi ride quotidianamente, quindi, è meno soggetto ad ammalarsi… tanto dalla vita non si esce comunque vivi!
RIDERE:
Potenzia l’apparato immunitario, aiuta a sciogliere le tensioni muscolari e quindi è un’ottima soluzione per contratture, dorsalgie e lombalgie.Ne beneficia anche l’ipertensione perché ridere aumenta il ritmo cardiaco, dilata le arteria e l’ossigenazione. Per chi soffre di asma e bronchite poi, rappresenta un vero e proprio esercizio respiratorio.Inoltre, il massaggio addominale provocato da muscoli che si contraggono durante le risate è un valido rimedio contro le costipazioni e i dolori di pancia in genere. Che dire infine della sua capacità di diminuire la sofferenza psichica e far reagire meglio allo stress? La terapia della risata (e del “riso” ed a quanto ad esso assimilabile) si usa per contrastare depressione, ansia, fobie e per aumentare l’autostima.
“La giornata completamente perduta è quella in cui non si è riso”.
“Cinque minuti di risata equivalgono a dieci minuti di jogging.”
“Un minuto di risata equivale a quarantacinque minuti di rilassamento”.
“Quando non si vive in funzione di qualcosa, si conserva tutta la propria capacità, la propria energia, e si è rilassati, perché non importa che si vinca o si perda”.
“Sono talmente abituato ad essere teso che quando sono calmo mi sento nervoso”
Teso e nervoso ma non al punto da sbroccare però… Quando infatti la misura è colma… di solito si sbrocca. Non è così per tutti, in quanto che la quantità delle idiozie ascoltate quotidianamente non è ancora colma per via del fatto che il peggio non è mai morto… anche se va ricordato che l’ultima a morire è la speranza (ammesso che muoia…).Non è ancora così per molti, pertanto si dovrebbe starsene buoni e tranquilli ad attendere che la misura si colmi e nel frattempo ragionar con calma, senza dare di testa.Ragionare con calma, ad esempio, a proposito del cicaleccio ideologico relativo al tema del gran calderone dei cosiddetti “diritti civili”.
E si potrebbero porre alcune domande: come avviene ( e dove sta scritto) che alcuni “desideri” gradatamente si autopromuovano a “diritti”?
Poniamo il caso che qualcuno “desideri” essere ricco (avere più denaro…) e rivendichi questo come “diritto”…
Poniamo il caso che qualcuno “desideri” di essere trattato come sposato pur non essendolo e rivendichi questo come “diritto”…
Poniamo il caso che qualcuno “desideri” diventare altro da quello che è (maschio/femmina) e rivendichi questo come “diritto”…
E che dire di chi volesse rivendicare il “diritto ad esistere”? Ci si potrà pur chiedere, con umile onestà intellettuale, su quale base e quale sia la dinamica profonda di tale metamorfosi del “desiderio” in “diritto”… o no?E poi, con tutto quel parlare che si fa di “ecologia”, di ritorno alla natura, ci si potrà pur chiedere come mai questo richiamo all’ecologia non sia applicabile alla natura “umana” in quanto tale… o no?Si potrà pur auspicare se non sia possibile (sul piano logico, psicologico e ontologico) acquisire una mentalità pensante “ecologica” e non più soltanto miseramente “ideologica”… o no. Per farla breve e per evitare di sentire rimbombare nelle orecchie la solita frase dei pensatori liquidi: “Ma questo è un altro discorso”, o peggio “Ma che male ti fanno?” andrebbe ricordata sempre questa citazione presa da AMARE E CURARE I NEVROTICI di Anna Terruwe e Conrad Baars: “Mentre Dio perdona sempre e l’uomo perdona qualche volta, la natura non perdona mai; quando ci si oppone alla natura, la natura disapprova, ribatte, restituisce il colpo”.E questo vale anche e soprattutto riguardo a tutto il mondo delle relazioni” (con se stessi, con l’altro, con il mondo, con Dio… perché la “relazione” è il marchio di fabbrica del creato, credenti o meno che si pensi di essere).
Per cui, come scrive Antonino Serra (autore del bellissimo libro ASCOLTARE LA VITA): “Occorre un vero slancio culturale per recuperare il valore primario di una vera e propria “ecologia della relazione”.E, in conclusione, una riflessione quasi sconsolata di Luciano De Giovanni dedicata a chi è perennemente insoddisfatto e inquieto circa il proprio essere, la propria identità, la propria misteriosa collocazione esistenziale : ”Chiamati per un momento a partecipare dell’universo, e subito ci mettiamo a criticare”.E sovente si cade nella trappola della cronica recriminazione proprio perché si cercano “spiegazioni” al mistero della vita, si pretende, giustamente, di “voler capire”, dimenticando però quello che affermava Einstein: “Chi non accetta il mistero, non è degno di vivere”. Si pretende di voler capire “tutto”, rinviando a data da destinarsi di lasciarsi cullar, umili e quieti, nell’oceano infinito del mistero. Buongustai di mistero anziché cercatori affannati di spiegazioni, quindi…Confucio, molti anni prima che si sentisse parlare di “mistero”, scrisse: “Ci vuole tutta una vita per capire che non si può capire tutto” ed anche “L’ultimo passo della ragione è quello di ammettere che vi sono cose che la superano”. Lo slogan “tutto è diritto” dovrebbe lasciare pertanto spazio a “tutto è grazia”… e “Se tutto ègrazia, grazie di tutto, mio Dio”.
Mi piace riportare, in conclusione, questo aneddoto di Santa Teresa di Calcutta:
“Alcune persone vennero a trovarmi a Calcutta e prima di partire mi pregarono: – ci dica qualcosa che ci aiuti a vivere meglio – . E io dissi loro: – Sorridetevi a vicenda, sorridete a vostra moglie, a vostro marito, ai vostri figli, sorridetevi a vicenda; poco importa chi sia quello a cui sorridete; questo vi aiuterà a vivere meglio e a crescere nell’amore reciproco -. Allora uno di quelli mi domandò: – Lei è sposata? -. –Sì, risposi, e qualche volta trovo difficile sorridere a Lui. Ed è vero. Anche Gesù può essere molto esigente ed è proprio quando Egli è così esigente che è molto bello rispondergli con un grande sorriso”. (www.gigiavanti.comgiovannigigiavanti@gmail.com)
Qualcuno ha scritto: “Di tanto in tanto dovremmo smettere di cercare la felicità e limitarci ad essere felici”.
Pertanto la felicità sta nel gustare il qui ed ora. Per quanto riguarda invece la gioia, il discorso si fa più articolato… e profondo.
Ed allora passo la parola a Susanna Tamaro:
“Mio padre e mia madre no perdevano occasione di rimproverarmi per la mia abitudine canterina. Una volta, durante un pranzo, ho addirittura preso uno schiaffo – il mio primo schiaffo –perché mi era scappato un “tralalà”. “Non si canta a tavola”, aveva tuonato mio padre. “Non si canta se non si è cantanti”, aveva incalzato mia madre. Io piangevo e ripetevo tra le lacrime: “Ma a me mi canta dentro”.
Qualsiasi cosa si staccasse dal mondo concreto della materia, per i miei genitori era assolutamente incomprensibile. Com’era possibile allora che conservassi la mia musica? Avrei dovuto avere almeno il desiderio di un santo. Il mio destin0, invece, era quello crudele della normalità.
Piano piano la musica è scomparsa e con lei il senso di gioia profonda che mi aveva accompagnata nei primi anni.
La gioia, sai, è proprio questa la cosa che ho più rimpianto. In seguito, certo, sono stata anche felice, ma la felicità sta alla gioia come una lampada elettrica sta al sole.
La felicità ha sempre un oggetto, si è felici di qualcosa, è un sentimento la cui esistenza dipende dall’esterno. La gioia invece non ha oggetto. Ti possiede senza alcuna ragione apparente, nel suo essere somiglia al sole, brucia grazia alla combustione del suo stesso cuore.
Nel corso degli anni ho abbandonato me stessa, la parte più profonda di me, per diventare un’altra persona, quella che i miei genitori si aspettavano che diventassi. Ho lasciato la mia personalità per acquistare un carattere. Il carattere, avrai modo di provarlo, è molto più apprezzato nel mondo di quanto lo sia la personalità.
Ma carattere e personalità, contrariamente a quanto si crede, non vanno assieme anzi, il più delle volte uno esclude perentoriamente l’altra”. (Susanna Tamaro)
(5 Incontri per la Diocesi di Foligno – Pastorale famigliare)
Un saluto a tutti e un grazie di cuore a chi sta leggendo. Entriamo subito in argomento con alcune precisazioni.
La scelta dell’argomento interessa tutti perché contemporaneamente siamo tutti educatori ed educanti così come ognuno è contemporaneamente alunno e docente nella scuola della vita.
Chi ascolta o legge queste considerazioni può avere figli o educanti di varia età. Non è un problema, perché in questo incontro e in quelli successivi si farà soprattutto leva sul concetto – realtà di una “relazione” capace di per sé e per sua natura di attivare o potenziare il processo di crescita della persona, processo di crescita che ha come traguardo una maturità da raggiungere.
Un traguardo di maturità da considerare però più come un “modo” di viaggiare che non come un punto da raggiungere.
E’ per questo che tali considerazioni valgono per tutti quale che sia l’età di ciascuno. Nulla di nuovo, pertanto, se non la novità di questo “qui ed ora” che viviamo in maniera unica.
Una parentesi sul significato del verbo “crescere”. Il verbo crescere è’ un verbo bellissimo presente nella Bibbia fin dall’inizio della creazione quando il Creatore invita i neo-coniugi Adamo ed Eva con quel famoso: “Crescete e… moltiplicatevi” .
. Ed è bello ricordare che il verbo “crescere”, etimologicamente parlando, è imparentato con il verbo “creare”.
E’ come se il Creatore avesse detto ai primi due sposi della storia: “Portate avanti quello che Io ho creato”.
Crescere, pertanto, non nasce come problema ma come unica opportunità di gratitudine verso un Creatore fiducioso nella sua creatura.
L’altro episodio dove ci si imbatte nel verbo crescere riguarda la descrizione sintetica della crescita di Gesù: “Gesù cresceva in età, sapienza e grazia presso Dio e presso gli uomini”.
Come dire che crescere, maturare non sono configurabili come problemi, ma come realtà naturali, fisiologiche.
Espressioni della serie: “Mio figlio è un problema” risultano pertanto non consone ad una relazione educativa sana, anzi rappresentano proprio quella zavorra da scrollarsi di dosso. Un figlio (o chi per lui) potrà “avere” dei problemi di crescita, ma non è tutto quanto un problema.
La terza espressione dove figura il verbo “crescere” è quella di san Paolo, che, inaspettatamente se ne esce con: “Il seme cresce senza che il seminatore sappia come” .
Qualcuno potrebbe leggere questa considerazione come incoraggiatrice di atteggiamenti menefreghisti. Niente di più errato.
E’ una espressione paradossale che induce genitori ed educatori alla fiducia, a “lasciar crescere” i figli piuttosto che pedinarli, tallonarli, tampinarli, fargli sentire il fiatone sul collo.
Questa è quindi la prima “zavorra” dalla quale è possibile liberarsi (quella di vedere tutto in chiave di “problema” anziché in chiave di realtà.
Dio non crea e non si diverte a creare problemi. Siamo talvolta noi umani a darci la patente di “creativi”, creandoci dei problem.
La ragnatela che un ragno si autocostruisce è una realtà, ma se vi si impiglia da se stesso di chi è il problema. Non è la ragnatela a impigliare il ragno, ma è il ragno che si impiglia… così come ammonisce un proverbio: “Non è il vino che ubriaca, ma è l’uomo che si ubriaca”.
Passiamo ora all’altro tema, quello dei sentimenti nocivi o meglio dei sentimenti gestiti in maniera perniciosa.
Il sentimento più circolante oggi è quello della “paura”. Come ogni sentimento, anche la paura nasce piccola e “sana”, ma potrebbe ammalarsi cammin facendo.
La medesima cosa avviene con il calore del corpo che, sotto i 37 gradi è buono, ma oltrepassata tale soglia comincia ad essere un problema (febbre). Scrive sant’Agostino: “ O il male è ciò di cui si ha paura o il male è avere paura”.
Qualcosa non deve aver funzionato, nella testa e nel cuore se si è arrivati a questo punto. Ci chiediamo come mai, ma soprattutto ci chiediamo come mettere mano per sostenerci tutti, genitori ed educatori, figli ed educandi, in questa impresa di crescita permanente, di reciproca maturazione permanente.
Sostenere, ho detto, perché preoccupazioni, ansie, delusioni, senso di impotenza compongono una miscela pericolosissima in grado di indurre i più deboli o i meno fortunati a tirare i remi in barca anziché a rimboccarsi le maniche.
Come contenere la paura che rischia di mettere a dura prova la virtù della speranza, unica virtù capace di far riprendere quota e vigore allo spirito educativo?
Paradossalmente parlando, le medesime due espressione che hanno caratterizzato il primo periodo diquesto tempo pandemico e che sono nate per incoraggiare e nutrire la speranza possono rivelarsi pericolose ed è facile spiegare il perché. Perché in entrambe le espressioni i due verbi vengono coniugati al futuro. Dalla psicologia si apprende, infatti, che il pensiero del futuro può sempre contenere una certa dose di ansia (magari in grado di “infettare” il presente alla pari del virus).
Le due frasi “Andrà tutto bene” e “Niente sarà più come prima”, oltre a contenere quella coniugazione dei verbi al futuro, sono monche, sono incomplete…
“Andrà tutto bene… a patto di…” e “Niente sarà come prima… a condizione che…” si potrebbe, ad esempio, concludere.
Oppure, unendo tra loro le due frasi, ecco una conclusione possibile: “Andrà tutto bene… se Niente sarà come prima”… che è già qualcosa, se non ci si lascia impressionare dall’uso euforico e un tantino esagerato della parola “tutto” e della parola “niente”…
Ma c’è qualcosa da aggiungere. “Andrà tutto bene” se si prende coscienza che già ora va tuttobene…per il fatto di essere vivi, sofferenti, frustrati e depressi, ma vivi.
Ma non è esperienza della quotidianità questa? Non è forse vero che “Ogni giorno ha la sua pena”? E “va tutto bene”, in ragione del fatto che si sta vivendo il presente e che “niente è come prima” se ci si rende conto veramente che non c’è alternativa al vivere il “qui ed ora”, senza ripetizione del prima e senza la troppa preoccupazione per il dopo.
“Va tutto bene” anche se “Niente è come prima” se si è convinti nel profondo di vivere l’oggi (anche con un po’ di fatica fantasiosa) non come fosse il primo giorno e nemmeno come fosse l’ultimo, ma semplicemente accettando umilmente che sia, misteriosamente, l’unico.
In concreto, la ricetta o il suggerimento per non far ammalare la paura è per toglierci di dosso la zavorra di vivere tutto come problema è il vivere il “qui ed ora”.
Anche e soprattutto perché convinti nel profondo dell’anima che “Il presente è l’unico punto dicontatto tra l’eternità e il tempo” (S.C. Lewis in LE LETTERE DI BERLICCHE) ed è lì che è appostato, dall’eternità, Dio. La qual considerazione richiama alla mente una riflessione dello psicologo Carl Gustav Jung: “Molte nevrosi dell’uomo moderno sono riconducibili ad un non risolto problema religioso”.
Ecco allora la metafora paradossale: “Dimmi come vivi la pandemia (o come affronti i problemi) e io ti dirò come vivi la vita”.
Vivere la vita come “eterno” problema da risolvere porta con sé una acutizzazione del medesimo quando si attraversano periodi marcatamente più travagliati, come appunto quello che si sta vivendo. Così come pensare di poter o voler risolvere un problema una volta per tutte…. è un problema!
Vivere, invece , la vita come realtà (dura fin che si vuole, talvolta o spesso o comunque) lenisce il bruciore della sofferenza esistenziale o dell’angoscia di morte. Senza dimenticare quanto affermava Alberto Einstein: “Non si può risolvere un problema con lo stesso modo di pensare che ha causato il problema”.
IOSONO
Mirammaricavo
del mio passato
e temevo il mio futuro
quando, improvvisamente
il mio Signore parlò:
Il mio nome è IO SONO.
Fece una pausa. Io attesi.
Poi continuò:
Se tu vivi del passato
con i suoi errori
e i suoi dispiaceri
vivi nel dolore.
Io non sono nel passato.
Il mio nome non è IO ERO
Se tu vivi del futuro,
con i suoi problemi
e le sue paure,
vivi nel dolore.
Il non sono nel futuro.
Il mio nome non è IO SARO’.
Se tu vivi questo momento,
vivi nella pace.
Io sono nel presente.
Il mio nome è IO SONO
(Helen Mallicoat)
LE TRE RANE
(pensare troppo o pensare male… porta male)
TRE RANE CADDERO IN UN SECCHIO DI LATTE.
LA PRIMA RANA, PESSIMISTA, PENSO’ CHE NON C’ERA PIU’
PIU’NIENTE DA FARE E SI LASCIO’ TRAGICAMENTE AFFOGARE.
LA SECONDA RANA, LUCIDA RAGIONATRICE,
PENSO’ CHE CON UN BALZO AVREBBE POTUTO SALVARSI.
CALCOLO’ LA TRAIETTORIA, LA PARABOLA, LA POTENZA
MA NON SI ERA ACCORTA CHE IL SECCHIO AVEVA UN MANICO
ALZATO E PROPRIO CONTRO QUELLO ANDO’ A SFRACELLARSI.
Sta scritto nei libri di spiritualità: “Dio delude sempre chi se lo immagina a modo suo”. Allora potrebbe essere stato proprio così che, nella notte dei tempi, sono nati gli “idoli”.
Farsi una “idea” di come potrebbe essere Dio altro non è che una gigantesca proiezione inconscia su di uno schermo esterno di quella pellicola interiore fatta di idee e di pensieri relative al mondo divino.
Da qui a cosificare, a materializzare tali “idee” in simulacri, statue, immagini il passo è stato breve. Da qui a mettersi in ginocchio per rendere culto a tali creazioni, il passo è stato ancora una volta breve.
Ed ecco nata l’idolatria (tra parentesi, trovo molta assonanza, etimologicamente parlando, tra la parola “idolo” e “ideologia”): una sorta di narcisistico autocompiacimento per la propria “idea” di Dio. Come dire che è l’ideologia a creare l’idolatria.
Sarà per questo allora che Dio si adira, va su tutte le furie (ira di Dio) di fronte a questa sbandata della sua creatura.
E tanti idoli popolano oggi la mente degli umani, tra i quali il successo, il sesso, i soldi… tre parole che iniziano con la lettera “s”, quella di serpente…
– Perché vi confondete agitandovi? Lasciate a me la cura delle vostre cose e tutto si calmerà. Vi dico in verità che ogni atto di vero, cieco, completo abbandono in me, produce l’effetto che desiderate e risolve le situazioni spinose.
Abbandonarsi a me non significa arrovellarsi, sconvolgersi e disperarsi, volgendo poi a me una preghiera agitata perché io segua voi, e cambiare così l’agitazione in preghiera. Abbandonarsi significa chiudere placidamente gli occhi dell’anima, stornare il pensiero dalla tribolazione, e rimettersi a me perché io solo vi faccia trovare, come bimbi addormentati nelle braccia materne, nell’altra riva.
Quello che vi sconvolge e vi fa un male immenso è il vostro ragionamento, il vostro pensiero, il vostro assillo ed il volere ad ogni costo provvedere voi a ciò che vi affligge.
Quante cose io opero quando l’anima, tanto nelle sue necessità spirituali quanto in quelle materiali, si volge a me, mi guarda, e dicendomi: “pensaci tu”, chiude gli occhi e riposa! Avete poche grazie quando vi assillate per produrle, ne avete moltissime quando la preghiera è affidamento pieno a me. Voi nel dolore pregate perché io operi, ma perché io operi come voi credete… Non vi rivolgete a me, ma volete voi che io mi adatti alle vostre idee; non siete infermi che domandano al medico la cura, ma, che gliela suggeriscono. Non fate così, ma pregate come vi ho insegnato nel Pater: “Sia santificato il tuo nome”, cioè sii glorificato in questa mia necessità; “venga il tuo regno”, cioè tutto concorra al tuo regno in noi e nel mondo; “sia fatta la tua volontà”, ossia PENSACI TU.
Se mi dite davvero: “sia fatta la tua volontà”, che è lo stesso che dire: “pensaci tu”, io intervengo con tutta la mia onnipotenza, e risolvo le situazioni più chiuse. Ecco, tu vedi che il malanno incalza invece di decadere? Non ti agitare, chiudi gli occhi e dimmi con fiducia: “Sia fatta la tua volontà, pensaci tu”. Ti dico che io ci penso, che intervengo come medico, e compio anche un miracolo quando occorre. Tu vedi che l’infermo peggiora? Non ti sconvolgere, ma chiudi gli occhi e di’: “Pensaci tu”. Ti dico che io ci penso.
E’ contro l’abbandono la preoccupazione, l’agitazione e il voler pensare alle conseguenze di un fatto. E’ come la confusione che portano i fanciulli, che pretendono che la mamma pensi alle loro necessità, e vogliono pensarci essi, intralciando con le loro idee e le loro fisime infantili il suo lavoro.
Ci penso solo quando chiudete gli occhi. Voi siete insonni, voi volete tutto valutare, tutto scrutare, confidando solo negli uomini. Voi siete insonni, voi volete tutto valutare, tutto scrutare, a tutto pensare, e vi abbandonate così alle forze umane, o peggio agli uomini, confidando nel loro intervento. E’ questo che intralcia le mie parole e le mie vedute. Oh, come io desidero da voi questo abbandono per beneficarvi, e come mi accoro nel vedervi agitati! Satana tende proprio a questo: ad agitarvi per sottrarvi alla mia azione e gettarvi in preda delle iniziative umane. Confidate perciò in me solo, riposate in me, abbandonatevi a me in tutto. Io faccio miracoli in proporzione del pieno abbandono in me, e del nessuno pensiero di voi; io spargo tesori di grazie quando voi siete nella piena povertà! Se avete vostre risorse, anche in poco, o, se le cercate, siete nel campo naturale, e seguite quindi il percorso naturale delle cose, che è spesso intralciato da satana. Nessun ragionatore o ponderatore ha fatto miracoli, neppure fra i Santi. Opera divinamente chi si abbandona a Dio. Quando vedi che le cose si complicano, di’ con gli occhi dell’anima chiusi: “Gesù, pensaci tu”.
E distràiti, perché la tua mente è acuta… e per te è difficile vedere il male. Confida in me spesso, distraendoti da te stesso. Fa’ così per tutte le tue necessità. Fate così tutti, e vedrete grandi, continui e silenziosi miracoli. Ve lo giuro per il mio amore. Io ci penserò ve lo assicuro. Pregate sempre con questa disposizione di abbandono, e ne avrete grande pace e grande frutto, anche quando io vi faccio la grazia dell’immolazione di riparazione e di amore che impone la sofferenza. Ti sembra impossibile? Chiudi gli occhi e di’ con tutta l’anima: “Gesù pensaci tu”. Non temere ci penso io. E tu benedirai il mio nome umiliandoti. Mille preghiere non valgono un atto solo di fiducioso abbandono: ricordatelo bene. Non c’è novena più efficace di questa:
UN APPROCCIO PSICOLOGICO – SPIRITUALE per non morire di paura
Mi vengono in mente queste considerazioni a proposito di virus e di antivirus, di pandemia e di come viverla.
A livello inconscio (per fortuna) si genera in me questa curiosa dinamica, la dinamica di una percezione sotterranea, incontrollabile razionalmente, del tipo: “Se non vuoi morire non devi vivere” ed anche: “Se non ti vuoi ammalare devi vivere come ti dico io”.
Nessuna però di queste due proposte esistenziali assicura esito positivo. Si tratta del curioso mistero del vivere oscillante da sempre tra danza e lamento, dolore e gioia, paura e speranza, un mistero esistenziale fatto oggi più fitto di luce fino ad abbagliare mente e cuore.
Che fare allora? Vivere il qui ed ora col contagocce evitando di cadere nella trappola (o tentazione… per i credenti) di troppe nostalgie del pregresso o di troppa preoccupazione per il futuro.
Vivere l’oggi non “come se” fosse il primo giorno o, peggio, l’ultimo (tocchiamo ferro, piombo o altri metalli più nobili!), ma adultamente convinti che è l’unico.
In un libro di S. Lewis (LE LETTERE DI BERLICCHE) dove si racconta di un diavolo anziano che insegna al nipotino come tentare l’uomo in modo intelligente, leggo questa riflessione: “Il presente è l’unico punto di contatto tra il tempo e l’eternità… “.
E poi aggiunge (lo ricordo a braccio): se tu rovini il presente col fare preoccupare l’uomo del futuro ce l’hai in mano… perchè il nostro “nemico” (DIO) sta proprio lì…
Per convivere con la paura (paura del morire più che della morte in se stessa) le riflessioni appena lette rappresentano un approccio psicologico – spirituale di tutto rispett0, condiviso anche da buona parte della letteratura umanistico – scientifica.
Proprio così… considerando tutta quella prosopopea sui diritti (civili o meno…) così tanto urlata oggi! Proprio così, perché tutta questa prosopopèa va a sbattere, e di brutto, contro un dato di fatto incontrovertibile e non leggibile in termini di diritto, il dato di fatto del proprio esistere.
Esistere non è (e non lo è stato per ognuno di noi) un diritto, bensì un dono. Ne deriva che tutto è dono a partire da lì… ed allora ecco sgorgare dal fondo dell’anima un sussurrato perenne grazie.
Il presente sito ruota attorno ad alcune realtà-dimensioni esistenziali quali:
strada, parola, camminare, seme, psiche, sentimento, fede, amore, famiglia spiritualità...
Due citazioni introduttive intendono meglio orientare i fruitori dei vari contenuti:
"Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l'orizzonte si sposta dieci passi più in là. Per quanto io cammini non la raggiungerò mai. A cosa serve l'utopia? Serve proprio a questo, a camminare" (Eduardo Galeano)
"La tempesta può disperdere i fiori, ma non può distruggere i semi" . (K. Gibran)