TORNIAMO A EDUCARE
Il brano riportato qui sotto è tratto da un mio vecchio libro pubblicato nel 2003 (e andato da poco in pensione) dove viene narrata la corrispondenza tra Lara, allora ventiduenne e incontrata in un campo scuola estivo per le famiglie della diocesi di Vittorio Veneto, e il sottoscritto. La corrispondenza iniziava nel 1993 per terminare qualche anno dopo. La gestazione del libro è stata piacevole e, a pubblicazione avvenuta, a chi mi chiese: “Ma è difficile scrivere?” risposi sommessamente: “No, difficile è farsi leggere”. Ripropongo questo stralcio constatando la difficoltà del momento presente su tutti i versanti dei rapporti umani, compreso quello educativo La realtà educativa, infatti, si trasforma non di rado in problema educativo proprio in ragione del fatto che la si affronta in maniera soggettiva, poco attenti alle indicazioni delle leggi eterne della natura umana.
“Certamente il lettore si sarà accorto che le considerazioni di Lara, innescate da episodi di semplice quotidianità, assomigliano sempre più a un percorso che si potrebbe definire di consapevolezza.
Questo, oltre che attestare una particolare sensibilità, potrebbe essere suggerito, come normale percorso di crescita personale e affettiva, a quei giovani desiderosi di volare un po’ alto (ma non troppo però per non perdere di vista la terra) e anche, perché no, a quegli adulti stanchi di volare anche a bassa quota.
E’ facile ribattere che si tratta di una ragazza fortunata, che la vita non è così lineare, che quanto vive e afferma vale solo per lei…
In ogni esperienza di ferialità sono mescolate insieme fortuna e sfortuna, gioia e dolore, speranza e apprensione, danza e lamento, invocazione e bestemmia, urlo e sussurro. Quel che maggiormente conta è rendersi conto che è proprio attraverso e grazie a questo curioso e misterioso alternarsi, sovente incastrarsi in modo invisibile di accadimenti, che avviene il processo di maturazione, che si compie il desino esistenziale.
Accadimenti per lo più casuali nel loro momento iniziale, ma voluti e abbracciati nel loro evolversi naturale.
Pare che non vi sia possibilità esistenziale se non quella di lasciarsi andare a vivere tali accadimenti, senza altra preoccupazione.
Pare che il segreto della serenità esistenziale stia proprio nel vivere quel che si trova da vivere.. Tale approccio di semplice e disarmata attenzione al qui ed ora, sembra applicabile anche al settore educativo quale esso sia.
Una presenza affettiva sana, dove per “sana” si intende principalmente calorosa, empatica, rispettosa è già di per sé presenza ed efficacia educativa.
Troppo spesso accade di imbattersi, per esempio, in genitori ed educatori più preoccupati di trasmettere valori, in senso generale, che non di limitarsi e accontentarsi di testimoniare il “carisma” del loro essere “amanti”, sia come coniugi che come singoli.
Tale preoccupazione può ostacolare la percezione da parte dei figli o degli educandi, in genere, dei pur presenti segnali affettivi.
Così agendo, però, non è detto che sia garantita la riuscita impresa educativa che , oggi come oggi, pare somigliare più ad un terno al lotto, anche perché bisogna fare i conti con il mistero di libertà dei figli o di chi è affidato alle proprie cure educativi, pur tuttavia occorre non demordere nel rischio quotidiano di dare ragione alla propria scelta di amore coniugale.
Un’altra tendenza che sbilancia l’azione educativa sembra essere la troppa logorroicità: raccomandazioni, ammonizioni, là dove invece basterebbe, da parte dell’educatore, una disponibilità affettiva disarmata e sorridente, più improntata al “silenzioso essere” che non al “rumoroso dire”.
Si consideri anche come nel settore educativo, e la lettera di Lara lo evidenzia chiaramente, si lavori su tempi lunghi, anzi lunghissimi per cui diventano deleterie l’agitazione e la fretta.
Oltre tutto l’agitazione potrebbe nascondere, ma non troppo, quel male antico della presunzione che vorrebbe avocare a sé tutti i meriti dei propri sforzi educativi, mentre si sa che il seme cresce senza che il seminatore sappia come.
E a proposito di “seme” e di “seminatore” sono tanti i dettagli su cui soffermarsi a riflettere. Chi ha avuto la fortuna di vedere qualche contadino intento all’opera della semina si è accorto certamente come egli lasci cadere il seme nel terreno (dapprima preparato) con movimento delicato e qui ritmico della mano.
Ciò fatto, l’uomo dei campi non va a ritoccare quanto seminato. Inizia per lui il periodo dell’attesa vigile e paziente e della cura solerte di quello che vedrà spuntare. Mai più un ritorno ossessivo sull’azione del seminare.
Quel che è stato fatto è fatto, quel che è seminato darà i suoi frutti perché questo è iscritto nel programma del seme.
La responsabilità del seminatore sta tutta in quell’azione quasi banale del lasciar cadere un seme, affidandolo alla terra e fidandosi di essa.
La responsabilità del seminatore comporta rispetto del seme, fiducia nella terra, coraggio e distacco… e un grande affetto per il mistero della vita.
Capita invece, nell’esperienza della vita, di imbattersi in seminatori che, anziché lasciar dolcemente cadere i semi nei solchi della terra, preferiscono scagliarli come sassi o spararli come munizioni per essere più sicuri della loro azione; e non si rendono conto, tali seminatori, che così agendo seminano soltanto presunzione (la loro) e sfiducia (riguardo al seme e anche al terreno).
Appartengono a questa schiera di persone (e più si va avanti negli anni più si rischia di entrare a farne parte) tutti quegli educatori che, con una scusa o con un’altra, mettono al primo posto loro stessi, quelli sulle cui labbra leggi un permanente quanto scoraggiante “speriamo…, non si sa mai…, meglio andare sul sicuro…, non vorrei che un domani…”, quelli che leggono tanti libri, quelli in definitiva a cui scarseggia o manca del tutto la passione dell’educare, essendo tutti presi da una seriosa preoccupazione. Si legge da qualche parte: “Chi non si diverte a fare il mestiere di educatore, ha sbagliato mestiere”.
(Da: Gigi Avanti, AMORE GIOVANE, (E.P. 2003)