Archivi del mese: dicembre 2022

                                 LA FAMIGLIA SCENDEVA

   Da Gerusalemme – la città posta sul monte, la sposa del Gran Re – la famiglia –  scendeva verso Gerico, nella pianura del gran lago salato, sotto il livello del mare.

   Scendeva per le vie tortuose e impervie della Storia, quando, ad una svolta della strada, incontrò i Tempi Moderni. Non erano di natura loro briganti, non peggio comunque di tanti altri tempi, ma si accanirono subito contro la famiglia non trovando di loro gradimento la sua pace che rispecchiava ancora la luce della città di Dio.

   Le rubarono prima di tutto la fede, che bene o male aveva conservato fino a quel momento come un fuoco acceso sotto la cenere dei secoli. Poi la spogliarono dell’unità e della fedeltà, della gioia dei figli e di ogni fecondità generosa. Le tolsero infine la serenità del colloquio domestico, la solidarietà con il vicinato e l’ospitalità sacra per i viandanti e i dispersi.

   La lasciarono così semiviva sull’orlo della strada e se ne andarono a banchettare con il Materialismo, l’Individualismo, l’Edonismo, il Consumismo, ridendo tutti insieme  della sorte sventurata della famiglia.

              Il Buon Samaritano

   Passò per quella strada un sociologo, vide la famiglia sull’orlo della strada, la studiò a lungo e disse: “Ormai è morta”.

   Le venne accanto uno psicologo e sentenziò: “L’istituzione familiare era oppressiva. Meglio che sia finita”.

   La trovò infine un prete e si mise a sgridarla: “Perché non hai resistito ai ladroni? Dovevi combattere di più. Eri forse d’accordo con chi ti calpestava?”.

   Passò, poco dopo, il Signore, ne ebbe compassione e si chinò su di lei a curarne le ferite, versandovi sopra l’olio della sua tenerezza e il vino del suo sdegno. Poi, caricatola sulle spalle, la portò alla Chiesa e gliela affidò dicendo: “Ho già pagato per lei tutto quello che c’era da pagare. L’ho comprata con il mio sangue e voglio farne la mia prima piccola sposa. Non lasciarla più sola sulla strada, in balìa dei Tempi. Ristorala con la mia Parola e il mio Pane. Al mio ritorno ti chiederò conto di lei”.

            Una lampada alla finestra

   Quando si riebbe, la famiglia ricordò il volto del Signore chino su di essa. Assaporò la gioia di quell’amore e si chiese: “Come ricambierò per la salvezza che mi è stata donata?”.

   Guarita dalle sue divisioni, dalla sua solitudine egoista, si propose di tornare per le strade del mondo a guarire le ferite del mondo. Si sarebbe essa pure fermata accanto a tutti i malcapitati della vita per assisterli e dire loro che c’è sempre un Amore vicino a chi soffre, a chi è solo, a chi è disprezzato, a chi si disprezza da se stesso avendo dilapidato tutta la propria umana dignità.

   Alla finestra della sua casa avrebbe messo una lampada e l’avrebbe tenuta sempre accesa come segno per gli sbandati della notte. La sua porta sarebbe rimasta sempre aperta, per gli amici e per gli sconosciuti: per chiunque – affamato, assetato, stanco, disperso – potesse entrare e riposare sedendo alla piccola mensa della fraternità universale.

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“CONOSCI TUTTE LE TEORIE, DOMINI TUTTE LE TECNICHE; TUTTAVIA, PER TOCCARE UN’ALTRA ANIMA, DEVI SEMPLICEMENTE ESSERE UN’ALTRA ANIMA UMANA”. (C.G. Jung)

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                                       I TRE DONI

   I tre nobili ospiti dall’Oriente, che erano venuti per adorare il Bambino e offrirgli i propri doni, per ordini superiori avevano appena lasciato Betlemme, quando si avvicinarono altre tre figure. Venivano senza seguito in maniera modesta e  per nulla appariscente.

   La loro andatura era strascinata, a fatica mettevano un passo dietro l’altro. I loro visi stanche erano a tal punto coperti di polvere che non si riusciva a riconoscere il colore della loro pelle. Erano gialli, bruni, neri o bianchi?

  Il primo di loro se ne veniva vestito di stracci e si guardava intorno affamato ed assetato. Con gli occhi incavati che avevano assistito a tante sofferenze.

    Il secondo camminava ricurvo. Portava alle braccia delle catene. Per questo  lungo portare e per il lungo viaggio aveva piaghe alle mani e ai piedi.

   Il terzo aveva i capelli arruffati, gli occhi disperati ed uno sguardi irrequieto e indagatore come se stesse cercando qualcosa che aveva perduto.  La gente che si trovava attorno alla casa del neonato era abituata ad ogni specie di visitatori.    Eppure indietreggiarono tutti timorosi quando videro queste tre figure che si avvicinavano. Erano chiaramente persone povere, nullatenenti, ma nessuno ne aveva viste di così misere e trascurate come loro. Timidamente e istintivamente si raccolsero insieme formando come un cordone di sicurezza intorno alla casa per impedire l’ingresso ai tre.

   Videro anche che i tre non portavano nulla con sé che avrebbero potuto offrire come doni. Erano forse venuti per prendere qualcosa? Qualcuno pensava all’oro  che era stato lasciato in casa proprio da quelli che erano partiti. Tutti avevano sentito raccontare di questo. Forse anch’essi erano venuti a sapere qualcosa dell’oro? Un mormorio si levò sempre più forte contro quegli strani nuovi arrivati.

   Allora fu loro aperta la porta. Uscì Giuseppe. Alcuni irritati gli gridarono che della gentaccia voleva venire dal Bambino, ma lui non doveva certamente permetterlo. Lui li calmò e disse: “Chiunque può avvicinarsi a questo Bambino: povero o ricco, misero o nobile, onesto o disonesto, degno di fiducia o meritevole di sospetto. Non appartiene soltanto a qualcuno. Neppure a noi che siamo i suoi genitori. Fateli entrare”.

   Meravigliati per le parole di Giuseppe formarono per i tre uno stretto corridoio. E lui li condusse dentro. La porta restò aperta. Quelli che poterono vi si accalcarono per partecipare da vicino all’incontro. Alcuni, pochi, si ricordarono che poco tempo prima si erano avvicinati al Bambino anche loro bisognosi.

   Ora i tre stavano davanti alla mangiatoia e contemplarono a lungo e muti il Bambino. A quella vista più nessuno sapeva chi fosse il più povero: se il Bambino sul letto di paglia o i visitatori. Tutti sembravano immersi o fusi nella stessa umiltà l’uomo vestito di stracci, quello con le catene ai polsi, quello con lo sguardo triste e il Bambino.

   Allora Giuseppe ruppe il silenzio. Egli sentiva di essere quello a cui era stato donato di più ed era spinto a fare sentire anche a quei poveri ils uso grande grazie per quanto aveva ricevuto.. In una nicchia, in una parete accanto alla mangiatoia, luccicavano i tre doni lasciati dai nobili visitatori.

   Egli li prese e li porse ai tre stranieri, all’uomo vestito di stracci, l’oro, all’uomo in catene, la mirra e a quello triste l’incenso.

   Disse al primo: “Per quanto io possa vedere, sei tu quello che ha più bisogno dell’oro. Comprati con questo, cibo e vestiti. Io ho un mestiere e potrò dar da mangiare alla mia famiglia anche senza questo oro”.

   Al secondo disse: “Io certo non posso toglierti le catene, ma ecco, questo unguento farà bene alle tue mani e ai tuoi piedi ricolmi di piaghe”.

   E al terzo disse: “Prendi questo incenso, il suo buon profumo non scaccerà via la tua tristezza, ma la nobiliterà e darò ristoro alla tua anima”.

Tutti si misero in agitazione. “Regala tutto quello che di prezioso ha ricevuto per il Bambino” sussurrarono tutti uno all’altro e di fronte a quei tre poveracci non riuscivano quasi a capire quella leggerezza.

   Quella prodigalità non rasentava la spoliazione del Bambino? Ma i tre scossero concordi le mani e il capo e il primo rispose: “Ti ringrazio per la tua grande offerta. Ma guardami! Chi mi trovasse addosso dell’oro avrebbe subito il sospetto che sono  un ladro. Ho estratto per altri l’oro dalle miniere, ma io stesso non ‘ho mai posseduto. Tienilo per il tuo Bambino. Potrai averne bisogno e lo accetteranno da te senza alcun sospetto”.

   Il secondo rispose: “Io mi sono abituato alle mie ferite. Grazie ad esse sono diventato tenace e forte. Conserva la mirra per il tuo Bambino. Quando avrà delle ferite alle mani e ai piedi potrà essergli di aiuto”.

   Il terzo rispose: “Io vengo dal mondo delle religioni e delle filosofie. Dietro di queste ho perso la testa. Nel deserto del pensiero ho perduto Dio. A che cosa può servirmi l’incenso? Offuscherebbe soltanto i miei dubbi. Nella sua religiosa nebbia blù mi presenterebbe soltanto immagini ingannevoli. Ma non potrebbe ridarmi Dio”.

   Tutti inorridirono per queste parole e per il rifiuto dei doni. Anche Maria e Giuseppe si coprirono il volto con le mani. Soltanto il Bambino stava lì, con gli occhi aperti. I tre si avvicinarono  ancora di più a lui e dissero: “Tu non vieni dal mondo dell’oro, della mirra e dell’incenso come neppure noi. Tu appartieni al nostro mondo della miseria, della tribolazione e del dubbio. Per questo ti offriamo quello che è comune a noi e a te”.

   Il primo prese alcuni dei suoi stracci e li mise sulla paglia. E disse: “Prendi i miei stracci. Un giorno li porterai, quando ti toglieranno i tuoi vestiti e tu resterai solo e nudo.  Allora ricordati di me”.

  Il secondo prese una delle sue catene e gliele mise vicine alla manina. “Prendi le mie catene. Ti andranno bene quando sarai più grande. Con esse ti cingeranno quando ti porteranno via. Ricordati allora di me”.

   Il terzo si piegò profondamente sul Bambino e disse: “Prendi i miei dubbi e il mio abbandono di Dio. Io non possiedo altre cose. E io non posso portare queste da solo. Sono troppo pesanti per me. Condividele con me. Prendile completamente in te, gridale forte e presentale davanti a Dio quando anche tu arriverai a quel punto.

   Profondamente scossa, Maria teneva le mani sul Bambino quasi per proteggerlo. Un forte mormorio si diffuse per la casa e attraverso la porta: “Cacciateli fuori! Stanno gettando una maledizione sul Bambino”.  Giuseppe si avvicinò alla mangiatoia per  portare via gli stracci e le catene. Ma non si lasciarono sollevare. Era come se fossero un tutt’uno con il Bambino.

   E il Bambino era lì, con gli occhi e le orecchie aperti, rivolti verso i tre uomini. Dopo un lungo silenzio si alzarono. Si stirarono come se qualcosa di pesante fosse caduto loro di dosso. Avevano trovato il posto dove avevano  potuto deporre il loro peso.

   Sapevano che presso quel Bambino tutto era custodito in buone mani e sarebbe stato conservato fino alla fine: la miseria, la tribolazione e l’abbandono di Dio. Con uno sguardo pieno di fiducia e con passo sicuro uscirono dalla casa, verso la loro miseria ormai circoscritta e condivisa

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(Werner Reiser – Traduzione dal tedesco di Don Roberto De Odorico)

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LIETO NATALE

                            PER UN LIETO NATALE

La ricchezza

Poco prima di Natale, la maestra rivolse due domande: “Chi considerate povero tra di voi? E chi dovrebbe ricevere un regalo a Natale?”.

I bambini che i consideravano poveri alzarono la mano. La città era piccola e si conoscevano tutti.  Non solo per nome, ma si sapeva anche dove uno viveva, che cosa faceva, chi erano i suoi parenti e quanti soldi aveva.

Dopo la scuola la maestra chiamò nel suo ufficio Dini, un bambino di otto anni.

I suoi genitori erano arrivati dall’Africa da poco tempo e tutti sapevano che erano poverissimi.

Lo fece sedere e gli chiese come mai non avesse alzato la mano. Dini rispose: “Perché non sono povero”. “E chi è povero, secondo te?”. “I bambini che non hanno i genitori”.

La maestra lo fissò sbalordita, in totale silenzio e poi lo congedò. L’indomani il padre di Dini tornò a casa con un largo sorriso stampato sulla faccia. Disse che la maestra era andata a fargli visita sul posto di lavoro. “Dovremmo essere molto fieri di nostro figlio”, aggiunse e riferì alla moglie che cosa gli aveva detto l’insegnante.

La vigilia di Natale, Dini ebbe il suo pacco regalo. Conteneva due paia di scarpe nuove di zecca, uno per lui e uno per la sorellina. Non avevano mai avuto un  paio di scarpe nuove.

Ma se anche non fosse arrivato il regalo, Dini sapeva che la sua famiglia era la più ricca del mondo.  (Bruno Ferrero, C’E’ ANCORA QUALCUNO CHE DANZA, LDC)

IL MESSIA E’ IN RITARDO

Ad una “comunità di base” molto osservante fu annunciato che nella notte solenne di Natale il Messia sarebbe di nuovo arrivato. Avrebbe ricominciato la sua missione proprio dalla loro comunità. Il giorno della vigilia si radunarono tutti. Le donne avevano preparato il cenone osservando ancora più scrupolosamente le prescrizioni della tradizione, gli uomini avevano provato a lungo la musica, i canti. Sapevano che in quella notte, finalmente, il Messia sarebbe ritornato. La festa cominciò.

Mezzanotte: di lì a poco l’avrebbero visto! L’una del mattino: il suo arrivo era imminente. Le due: i cuori battevano più forte. Le tre: la stanchezza cominciava a farsi sentire. Le quattro: alcuni cominciarono a perdersi d’animo. Le cinque: sonnecchiavano e sbadigliavano tutti. Non arrivava ancora.

A mezzogiorno, quando ormai nessuno lo aspettava più, il Messia bussò finalmente alla porta!

Entrando disse educatamente: “Chiedo scusa, ma ho incontrato un bambino che piangeva e mi sono fermato a consolarlo”.

Finché ci saranno bambini che piangono il Messia non arriverà. (Anonimo)

QUALCHE RISATA

Ti auguro, dopo il cenone di Natale, di poter sempre entrare nel vestito dell’anno precedente, di avere entusiasmo anche sulla poltrona del dentista, di trovare sempre un posto libero al parcheggio, di anagrammare “galleria” in “allegria”, di vedere nero soltanto quando è buio, di parlare solo quando il cervello è inserito.

In questo tempo di ristrettezze economiche la moglie al marito: “Cosa mi regali per Natale?”. Il marito: “Il prossimo anno un paio di orecchini preziosi”: “E quest’anno?”. ”I buchi nelle orecchie”.

A Natale gli angeli si affacciano dal cielo per fare compagnia agli uomini. Due con camicino bianco, aureola ed ali sono seduti su una nuvoletta. Il primo: “Ma tu sei nuovo, non ti avevo mai incontrato. Come mai ti trovi qui?”. “Eh, lo devo a mia moglie”. “A tua moglie?”. “Certo, stavo guidando e lei mi ha detto: “Se mi lasci il volante, sei proprio un angelo”. E infatti!

“Papà, che cosa ci vuole per essere felici tutto l’anno e non solo a Natale?”.

“Figliolo, ci vogliono due cose: la salute e un buon lavoro” “E tu hai queste due cose?”. “Io ho una  buona salute e tua madre un buon lavoro”.

La vigilia di Natale un uomo, dopo tanti anni, va a confessarsi. Finita la lista dei peccati, il confessore gli chiede: “E di buono che cosa ha fatto?”. “Io di buono ho fatto il cappone bollito per domani, perché l’arrosto non mi piace”.

Durante il concerto di Natale, uno dei presenti si rivolge ad un distinto signore che gli è seduto accanto: “Santo cielo, che strazio! Mai sentita una cantante  solista così stonata”. “Guardi – gli risponde il signore – la cantante è mia moglie”. Per rimediare alla grossa gaffe, l’uditore tenta una giustificazione: “Veramente la cantante non sarebbe male se potesse cantare della buona musica. I brani interpretati sono noiosi ed orribili”. “Davvero? Il compositore sono io”.

Un vecchio rabbino piangeva a dirotto e si lamentava con Dio. Un giorno il Padreterno gli apparve dicendogli: “Ma che cosa sono questi lamenti interminabili?”. E il rabbino: “Oh, Signore mio, sono l’uomo più sfortunato del mondo. Il mio unico e diletto figlio si è fatto cristiano ed anche prete”. Il buon Dio gli rispose: “Eh, solo per questo fai tante storie? Allora, non sai che cosa è successo a me col mio unico figlio?”. “Cosa è successo, mio Signore, cosa è successo?”.  E Dio: “Si è fatto uomo, è nato in una stalla e, per di più è anche ebreo”. Il rabbino: “E come hai rimediato, mio Signore?”. E il Creatore: “Sono stato costretto a cambiare e a scrivere un Nuovo Testamento”.

Per Natale le tre Persone Divine, come ogni anno, si confidano le rispettive visite strategiche da fare sulla terra. Il Padre dice: “Io vado  in India per coltivare il seme fecondo seminato da Madre Teresa in mezzo ai più poveri. Il mondo ha bisogno di vedere che Dio è veramente loro Padre”.  Gesù dice: “Io torno in terra santa, a Betlemme. Da duemila anni non c’è pace in quella terra. Forse adesso è il momento giusto e opportuno per rievangelizzare il mondo”.

Lo Spirito Santo dice: “Io vado in Vaticano. Ho sentito dire che è il centro della cristianità, ma io non ci sono mai stato”.

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Pasticcini quotidiani

“Il migliore tra gli uomini è colui che arrossisce quando lo lodi

E rimane in silenzio quando lo diffami”. (Gibran)

“Quando ho piantato il mio dolore nel campo della pazienza,

esso mi ha dato il frutto della felicità” (Gibran)

“LA CIVILTÀ ebbe inizio quando per la prima volta l’uomo scavò la terra e vi gettò un seme.

LA RELIGIONE ebbe  inizio quando l’uomo capì che il sole aveva pietà per quei semi che egli aveva seminato nella terra.

L’ARTE ebbe inizio quando l’uomo cominciò a glorificare con l’inno della gratitudine.

LA FILOSOFIA ebbe inizio quando l’uomo mangiò quello che la terra aveva prodotto e soffrì d’indigestione”. (Gibran)

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COME AVRANNO FATTO I MAGI?

COME AVRANNO FATTO I MAGI A LEGGERE QUEI SEGNI NEL CIELO E AD INCAMMINARSI VERSO GERUSALEMME?

Proprio così, come avranno fatto? Come avranno fatto a decifrare quei “segni nel cielo” nascosti nel grembo del mistero? Non ci è dato di saperlo, ma quel che è possibile e nutriente ricavarne per la nostra anima è di riflettere sul loro comportamento conseguente.

Un comportamento che li induce a lasciare le loro abitudini e ad incamminarsi alla volta di Gerusalemme con un progetto ben preciso, quello di andare ad “adorare” il neonato Messia.

Di comportamento opposto, invece,  quello di Erode che, fornito delle medesime “informazioni” decide di far fuori dalla storia Colui che stava, invece, per dare senso compiuto alla storia.

Il solito paradosso tra chi mette Dio al centro della storia  e chi, invece,  mette se stesso, il proprio io al centro della storia.

Il brano “scientifico” che riporto da VITTORIO MESSORI, IPOTESI SU GESU’, SEI, 1976, offre una pregevole lettura del “mistero dei segni nel cielo”. Mistero nel quale è meglio lasciarsi andare a naufragare piuttosto che intestardirsi a volerlo capire.

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“Nel dicembre del 1603 il celebre Keplero, uno dei padri dell’astronomia moderna, osserva da Praga la luminosissima congiunzione (l’avvicinamento, cioè) di Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci. Keplero, con certi suoi calcoli, stabilisce che lo stesso fenomeno (che provoca una luce intensa e vistosa nel cielo stellato) deve essersi verificato anche nel 7 avanti Cristo. Lo stesso astronomo scopre poi un antico commentario alla Scrittura del rabbino Abarbanel che ricorda come, secondo una credenza degli ebrei, il Messia sarebbe apparso proprio quando, nella costellazione dei Pesci, Giove e Saturno avessero unito la loro luce.

Pochi diedero peso a queste scoperte di Keplero, prima di tutto perché la critica non aveva ancora stabilito con certezza che Gesù era nato prima della data tradizionale. Quel 7 avanti Cristo dunque non impressionava. E poi anche perché l’astronomo univa troppo volentieri ai risultati scientifici le divagazioni mistiche.

Oltre due secoli dopo, lo studioso danese Munter  scopre e decifra un commentario ebraico medievale al libro di Daniele, proprio quello delle “settanta settimane”. Munter prova con quell’antico testo che ancora nel Medio Evo per alcuni dotti giudei la congiunzione Giove-Saturno nella costellazione dei Pesci era  uno dei “segni” che dovevano accompagnare la nascita del Messia.

Si ha così una riprova della credenza giudaica segnalata da Keplero che, con le “date” di Giacobbe e di Daniele, può avere alimentato l’attesa ebraica del primo secolo.

Nel 1902 è pubblicata la cosiddetta Tavola Planetaria, conservata ora a Berlino: è un papiro egiziano che riporta con esattezza i moti dei pianeti dal 17 avanti Cristo al 10 dopo Cristo. I calcoli di Keplero (già confermati del resto dagli astronomi moderni) trovano una conferma ulteriore, basata addirittura sull’osservazione diretta degli studiosi egiziani che avevano compilato la “Tavola”.

Nel 7 avanti Cristo si era appunto verificata la congiunzione Giove-Saturno ed era stata visibilissima e luminosissima su tutto il Mediterraneo.

Infine, nel 1925 è pubblicato il “Calendario Stellare di Sippar”. E’ una tavoletta in terracotta con scrittura cuneiforme proveniente appunto dall’antica città di Sippar, sull’Eufrate, sede  di una importante scuola di astrologia babilonese. Nel “Calendario” sono riportati tutti i movimenti e le congiunzioni celesti proprio del 7 avanti Cristo. Perché quell’anno? Perché, secondo gli astronomi babilonesi, nel 7 avanti Cristo la congiunzione di Giove con Saturno nel regno dei Pesci doveva verificarsi per ben tre volte: il 29 maggio, il 1° ottobre e il 5 dicembre. Da notare che quella congiunzione si verifica soltanto ogni 794 anni e per una volta sola: nel 7 avanti Cristo, invece, si ebbe per ben tre volte. Anche questo calcolo degli antichissimi esperti di Sippar fu trovato esatto dagli astronomi contemporanei.

Gli archeologi hanno infine decifrato la simbologia degli astrologi babilonesi. Ecco i loro risultati: Giove, per quegli antichi indovini, era  il pianeta dei dominatori del mondo, Saturno il pianeta protettore di Israele e la costellazione dei Pesci era considerata il segno della Fine del tempi, dell’inizio cioè dell’era messianica. Dunque potrebbe essere qualcosa di più di un mito il racconto di Matteo del’arrivo dall’Oriente a Gerusalemme, di sapienti, di Magi che chiedono: “Dove è nato il Re dei Giudei?”.

 E’ ormai certo, infatti, che tra il Tigri e l’Eufrate, non solo si aspettava (come in tutto l’Oriente) un Messia che doveva giungere da Israele, Ma si era pure stabilito con stupefacente sicurezza che doveva nascere in un tempo determinato.

Quel tempo in cui, per i cristiani, il “Dominatore del mondo” è veramente apparso.

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