I TRE DONI
I tre nobili ospiti dall’Oriente, che erano venuti per adorare il Bambino e offrirgli i propri doni, per ordini superiori avevano appena lasciato Betlemme, quando si avvicinarono altre tre figure. Venivano senza seguito in maniera modesta e per nulla appariscente.
La loro andatura era strascinata, a fatica mettevano un passo dietro l’altro. I loro visi stanche erano a tal punto coperti di polvere che non si riusciva a riconoscere il colore della loro pelle. Erano gialli, bruni, neri o bianchi?
Il primo di loro se ne veniva vestito di stracci e si guardava intorno affamato ed assetato. Con gli occhi incavati che avevano assistito a tante sofferenze.
Il secondo camminava ricurvo. Portava alle braccia delle catene. Per questo lungo portare e per il lungo viaggio aveva piaghe alle mani e ai piedi.
Il terzo aveva i capelli arruffati, gli occhi disperati ed uno sguardi irrequieto e indagatore come se stesse cercando qualcosa che aveva perduto. La gente che si trovava attorno alla casa del neonato era abituata ad ogni specie di visitatori. Eppure indietreggiarono tutti timorosi quando videro queste tre figure che si avvicinavano. Erano chiaramente persone povere, nullatenenti, ma nessuno ne aveva viste di così misere e trascurate come loro. Timidamente e istintivamente si raccolsero insieme formando come un cordone di sicurezza intorno alla casa per impedire l’ingresso ai tre.
Videro anche che i tre non portavano nulla con sé che avrebbero potuto offrire come doni. Erano forse venuti per prendere qualcosa? Qualcuno pensava all’oro che era stato lasciato in casa proprio da quelli che erano partiti. Tutti avevano sentito raccontare di questo. Forse anch’essi erano venuti a sapere qualcosa dell’oro? Un mormorio si levò sempre più forte contro quegli strani nuovi arrivati.
Allora fu loro aperta la porta. Uscì Giuseppe. Alcuni irritati gli gridarono che della gentaccia voleva venire dal Bambino, ma lui non doveva certamente permetterlo. Lui li calmò e disse: “Chiunque può avvicinarsi a questo Bambino: povero o ricco, misero o nobile, onesto o disonesto, degno di fiducia o meritevole di sospetto. Non appartiene soltanto a qualcuno. Neppure a noi che siamo i suoi genitori. Fateli entrare”.
Meravigliati per le parole di Giuseppe formarono per i tre uno stretto corridoio. E lui li condusse dentro. La porta restò aperta. Quelli che poterono vi si accalcarono per partecipare da vicino all’incontro. Alcuni, pochi, si ricordarono che poco tempo prima si erano avvicinati al Bambino anche loro bisognosi.
Ora i tre stavano davanti alla mangiatoia e contemplarono a lungo e muti il Bambino. A quella vista più nessuno sapeva chi fosse il più povero: se il Bambino sul letto di paglia o i visitatori. Tutti sembravano immersi o fusi nella stessa umiltà l’uomo vestito di stracci, quello con le catene ai polsi, quello con lo sguardo triste e il Bambino.
Allora Giuseppe ruppe il silenzio. Egli sentiva di essere quello a cui era stato donato di più ed era spinto a fare sentire anche a quei poveri ils uso grande grazie per quanto aveva ricevuto.. In una nicchia, in una parete accanto alla mangiatoia, luccicavano i tre doni lasciati dai nobili visitatori.
Egli li prese e li porse ai tre stranieri, all’uomo vestito di stracci, l’oro, all’uomo in catene, la mirra e a quello triste l’incenso.
Disse al primo: “Per quanto io possa vedere, sei tu quello che ha più bisogno dell’oro. Comprati con questo, cibo e vestiti. Io ho un mestiere e potrò dar da mangiare alla mia famiglia anche senza questo oro”.
Al secondo disse: “Io certo non posso toglierti le catene, ma ecco, questo unguento farà bene alle tue mani e ai tuoi piedi ricolmi di piaghe”.
E al terzo disse: “Prendi questo incenso, il suo buon profumo non scaccerà via la tua tristezza, ma la nobiliterà e darò ristoro alla tua anima”.
Tutti si misero in agitazione. “Regala tutto quello che di prezioso ha ricevuto per il Bambino” sussurrarono tutti uno all’altro e di fronte a quei tre poveracci non riuscivano quasi a capire quella leggerezza.
Quella prodigalità non rasentava la spoliazione del Bambino? Ma i tre scossero concordi le mani e il capo e il primo rispose: “Ti ringrazio per la tua grande offerta. Ma guardami! Chi mi trovasse addosso dell’oro avrebbe subito il sospetto che sono un ladro. Ho estratto per altri l’oro dalle miniere, ma io stesso non ‘ho mai posseduto. Tienilo per il tuo Bambino. Potrai averne bisogno e lo accetteranno da te senza alcun sospetto”.
Il secondo rispose: “Io mi sono abituato alle mie ferite. Grazie ad esse sono diventato tenace e forte. Conserva la mirra per il tuo Bambino. Quando avrà delle ferite alle mani e ai piedi potrà essergli di aiuto”.
Il terzo rispose: “Io vengo dal mondo delle religioni e delle filosofie. Dietro di queste ho perso la testa. Nel deserto del pensiero ho perduto Dio. A che cosa può servirmi l’incenso? Offuscherebbe soltanto i miei dubbi. Nella sua religiosa nebbia blù mi presenterebbe soltanto immagini ingannevoli. Ma non potrebbe ridarmi Dio”.
Tutti inorridirono per queste parole e per il rifiuto dei doni. Anche Maria e Giuseppe si coprirono il volto con le mani. Soltanto il Bambino stava lì, con gli occhi aperti. I tre si avvicinarono ancora di più a lui e dissero: “Tu non vieni dal mondo dell’oro, della mirra e dell’incenso come neppure noi. Tu appartieni al nostro mondo della miseria, della tribolazione e del dubbio. Per questo ti offriamo quello che è comune a noi e a te”.
Il primo prese alcuni dei suoi stracci e li mise sulla paglia. E disse: “Prendi i miei stracci. Un giorno li porterai, quando ti toglieranno i tuoi vestiti e tu resterai solo e nudo. Allora ricordati di me”.
Il secondo prese una delle sue catene e gliele mise vicine alla manina. “Prendi le mie catene. Ti andranno bene quando sarai più grande. Con esse ti cingeranno quando ti porteranno via. Ricordati allora di me”.
Il terzo si piegò profondamente sul Bambino e disse: “Prendi i miei dubbi e il mio abbandono di Dio. Io non possiedo altre cose. E io non posso portare queste da solo. Sono troppo pesanti per me. Condividele con me. Prendile completamente in te, gridale forte e presentale davanti a Dio quando anche tu arriverai a quel punto.
Profondamente scossa, Maria teneva le mani sul Bambino quasi per proteggerlo. Un forte mormorio si diffuse per la casa e attraverso la porta: “Cacciateli fuori! Stanno gettando una maledizione sul Bambino”. Giuseppe si avvicinò alla mangiatoia per portare via gli stracci e le catene. Ma non si lasciarono sollevare. Era come se fossero un tutt’uno con il Bambino.
E il Bambino era lì, con gli occhi e le orecchie aperti, rivolti verso i tre uomini. Dopo un lungo silenzio si alzarono. Si stirarono come se qualcosa di pesante fosse caduto loro di dosso. Avevano trovato il posto dove avevano potuto deporre il loro peso.
Sapevano che presso quel Bambino tutto era custodito in buone mani e sarebbe stato conservato fino alla fine: la miseria, la tribolazione e l’abbandono di Dio. Con uno sguardo pieno di fiducia e con passo sicuro uscirono dalla casa, verso la loro miseria ormai circoscritta e condivisa
————————————————————————————————-
(Werner Reiser – Traduzione dal tedesco di Don Roberto De Odorico)