I RICORDI DEI NATALI DELL’INFANZIA PER LA MIA NIPOTINA SILVIA

      ALLA MIA NIPOTINA SILVIA DI QUINTA ELEMENTARE LA MAESTRA HA CHIESTO DI CHIEDERE AI NONNI DI RICORDARE I LORO NATALI D’INFANZIA… ECCO I MIEI RICORDI….

         Silvia, quando mi hai riferito l’invito della tua maestra di chiedere ai nonni di ricordare i “natali” della loro infanzia, mi sono un po’ commosso perché quando ero piccolo  io non avevo i nonni… in quanto che due erano già morti e gli altri due (i genitori della mia mamma) abitavano lontano.

E nel mezzo di questa commozione hanno iniziato a riaffiorare i ricordi dei miei natali. Sono ricordi un po’ confusi perché ormai lontani nel tempo e difficili da tenere distinti anno per anno. E allora cercherò di fare una specie di sintesi emotiva che sia in grado di ricordare quei dieci anni tutti in blocco.

Ricordo benissimo il godimento dello stare insieme in casa, senza andare a scuola, con il papà (che fino a tre anni non avevo conosciuto perché in guerra) che faceva il presepe togliendo il muschio fresco dal muretto dell’orto di casa, con la mamma a preparare il pollo ripieno per il pranzo di Natale, con la sorellina saltellante intorno. E poi l’attesa dei doni consistenti in frutta verde e frutta secca con qualche piccolo regalo (macchinine di latta, trottola, acquerelli, libri di scuola). E soprattutto ricordo molto bene la curiosità di vedere come sarebbe stato il presepe allestito nella chiesa (era impossibile per noi bambini sbirciare anzitempo dietro i tendoni che lo nascondevano, perché venivamo allontanati dai grandi). Ed ancora i canti natalizi che creavano nella mia piccola testa magie di pensieri sul Bambino Gesù così sfortunato a nascere proprio in quelle circostanze. E poi la neve sempre puntualissima in quel periodo e noi a fare a pallate di neve e a costruire pupazzi giganteschi… col fiato bianco per il freddo intenso. Il freddo lo ricordo benissimo perché c’era soltanto una stufa in casa e stava da basso. Di sopra veniva scaldato il letto con il “fra’” (una specie di trabiccolo tipo gondola  sdraiata al cui centro si metteva un contenitore pieno di brace) ma la cameretta restava fredda così che al mattino mi trovavo i capelli quasi brinati. E ricordo il suono delle campane a festa e, nelle notti gelide e silenziose, i rintocchi dell’unica campana rimasta sveglia a contare, solitaria, le ore e le suonava talmente forte da far tremare il campanile che se fosse crollato avrebbe sepolto la mia casa talmente era vicino. E ricordo che mi passava la paura se soltanto pensavo al Bambino Gesù al “freddo e al gelo”.

E ricordo gli zampognari che vedevo passare davanti la porta a vetri resi opachi dal vapore che mi divertivo a scarabocchiare con le dita… e il vapore trasformarsi, come per magia, in lacrima che colava fino a terra. E ricordo il mendicante, sempre quello da anni, a chiedere con la mano aperta con discrezione e senza parola  una pia elemosina che mio papà mi  incaricava di donare.  Ed anche ricordo la gioia di poter servire la Messa “granda” di Natale come capo chierichetto con il privilegio di suonare il campanello multiplo (un campanello fatto di tre campanelli assemblati) per segnalare il momento della Consacrazione. E poi ricordo tutta una girandola di volti sorridenti e una eco armoniosa di auguri di “buon natale” rincorrersi per le strade e i viottoli del paesino sdraiato ad ovest del fiume Lambro… e persino l’abbaiare dei cani della contrada “cantalupo” non mi faceva più paura. Era nato Gesù a far sparire le mie paure bambine…

                                                                                                               Il tuo nonnone Gigi

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