Per non farla troppo lunga (lamentela che si ha modo di sentire quando qualcuno parla troppo o scrive troppo!) tralascerei di iniziare con citazioni più o meno ricercate di natura etimologica a semantica del vocabolo “dialogo” optando per un “incipit” magari un po’ fantasioso, ma proprio per questo anche più congruo con il carattere di questa rivista… che essendo “spirituale” non può esimersi del tutto di essere talvolta “spiritoso”. Per non farla troppo lunga mi sono messo ad immaginare il momento nativo del dialogo e davanti agli occhi stupefatti della mia anima si è presentato questo scenario: il Padre che comunica al Figlio: “Vorrei creare qualcosa di nuovo e di diverso, che ne dici? E tu da che parte stai?” “Dico che va bene e sto sempre comunque dalla tua parte” . E questo sarebbe il momento nativo dello Spirito… Basta così con la fantasia, pena una certa euforia misticoide perniciosa per l’anima… Basta così, ma tanto basta a cogliere subito una prerogativa del “dialogo”, che è quella di evidenziare e di esplicitare la natura-struttura dell’intera creazione, la natura Relazionale (Dio infatti viene definito dalla Teologia come “Relazione” e quando crea non può fare a meno di imprimere questo marchio “relazionale”… in ogni cosa, al punto da poter parafrasare l’evangelista Giovanni dicendo “In principio era la Relazione…”). Tale timbro “relazionale” diventa fondativo di ogni dinamica di rapporto io-tu garantendone la sussistenza in vita e la crescita. A patto che ogni “relazione” venga vissuta nel pieno rispetto della dinamica intrinseca di ogni relazione, compresa ovviamente quella di uomo e donna e quelle familiari che da questa derivano. Come mai, allora, capita di trovare sul mercato delle relazioni coniugali e familiari tanta merce sofisticata, se non avariata? Come mai tante e tante relazioni uomo-donna sono più devastanti che appaganti? Come la mettiamo con la storia del “dialogo tra sordi” e “non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire”? Come spiegare che in certe famiglie sia più protagonista la cronica litigiosità che non un dialogare fresco di giornata?
MODALITA’ RELAZIONALE GIUDICANTE O VALUTATIVA? Quando piove e si dice che “il tempo è brutto” si esprime un giudizio. Quando piove e si dice che “il tempo è piovoso” si descrive la natura di una realtà. Ecco la differenza tra “relazione giudicante” (da accostare alla dinamica in uscita di una etichettatrice pronta ad appiccicare etichette o di una mitragliatrice pronta a sparare giudizi) e “relazione valutativa” (da accostare alla dinamica in entrata di una macchina fofografica sulla cui negativa va a posarsi la fantasia dei colori, negativa dalla quale viene sviluppato il positivo). Le persone inclini al “giudizio” sono frettolose nel vivere i rapporti, pretendono, a loro insaputa, di imbrigliare in una personalissima sommaria idea il dato reale di una persona, di una situazione. Le persone inclini al giudizio soffrono sovente di malattie nervose. Sentirsi continuamente sotto osservazione da parte di queste persone non deve essere, in famiglia e fuori, una situazione relazionale beneficante. Le persone inclini alla valutazione del positivo del “qui ed ora” invece, sono capaci di cogliere quanto vedono, odono, odorano, toccano e gustano (queste sono infatti le sensazioni – azioni fatte dai sensi – sensi regalati dal Creatore alla sua creatura) avendo l’avvertenza di frenare o di sospendere la fregola della mente umana di spiegare, interpretare, dedurre, ipotizzare, precisare… tutte varianti dell’attitudine al giudicare. Le persone inclini alla relazione valutativa sono di norma pacate nel vivere le relazioni, più osservative del bello della diretta della vita, più saggiamente contemplative. Laddove il metereologo prevede “tempo brutto” (e se l’acqua si offendesse per essere descritta brutta e non piovesse più!) un San Francesco vede l’acqua “utile, umile, pretiosa, casta”. Cosa ricavarne per la dinamica delle relazioni familiari? Se ne ricava che il dialogo riflette inesorabilmente la natura della relazione instaurata. Se l’imprinting “relazionale valutativo”” impresso dal Creatore viene rispettato e assecondato ne consegue una vita relazionale familiare serena e un dialogo nutriente la medesima. Una volta Gesù affermò: “Mio cibo è fare la volontà del Padre”. Un’altra volta insegnerà a pregare: “Dacci oggi il nostro pane (cibo) quotidiano”. Se si ricorda che la “volontà del Padre” e che ci amiamo come fratelli, ne consegue che quando si chiede il “cibo quotidiano” di cui nutrirsi si chiede il nutrimento quotidiano della fraternità delle relazioni tra le pareti domestiche (altro che ”parenti serpenti” o “fratelli coltelli”!) . E quando si pensa che l’Eucaristia è il sacramento preferito da Gesù e inventato proprio quel Giovedì Santo a ridosso del sacramento della fraternità in esso incluso, ne deriva che non c’è fraternità di relazione senza Eucaristia così come anche una Eucaristia senza fraternità assomiglierebbe ad un pernicioso solipsismo mistico. I mistici stessi vivevano viscerali relazioni fraterne nelle loro comunità. Le conseguenze, sul piano del dialogo da fare in famiglia, sono evidenti: ci si nutre reciprocamente alla mensa della relazione valutativa e non giudicante…
ALCUNI DETTAGLI PER UN DIALOGARE FAMILIARE RECIPROCAMENTE NUTRIENTE Il dialogo risente quindi del tipo di relazione ed è reciprocamente nutriente a patto che rispetti la natura “creata” della medesima. Il dialogo, si sente dire da anni, da più parti e a diversi livelli, è finalizzato alla crescita della persona attraverso uno scambio reciproco. Per poter parlare di crescita integrale delle persone in dialogo occorre però un dialogo a tutti i livelli. I livelli del dialogo (e quindi della relazione) sono 5: superficiale (lo dice la parola… sarebbe quello di chi dice di conoscere il mare soltanto perché è capace di fare il morto a galla) informativo ( lo dice anche qui la parola… ed è quello dove si scambiano informazioni sull’orario dei treni, sullo stato di salute che solitamente e sbrigativamente si compendia in un asettico “non c’è male”) opinionale: (dove lo scambio è quello del come la si pensa in politica, sport, religione e dove hanno inizio i “litigi” per la dinamica diabolica del “leggere” come “avverso a sé” – pertanto da combattere – chi ha semplicemente opinioni “diverse”!) emozionale: (dove ci si confida cuore a cuore gioie, dolori, paure, collere sicuri di venire accoclti al caldo dell’altro cuore e non al freddo cerebrale di giudizi o rimproveri per il proprio personalissimo soffrire o gioire) intimo: (è quello delle anime dove basta un cenno per sentirsi capiti e accolti. Le anime sono annodate dall’eternità e nascono simpatiche tra loro. A complicare le cose sul piano del dialogo sono le “maschere” personali con cui il Creatore si diverte a vestirle (l’etimologia greca di persona è infatti maschera) . Va da sé che il livello ottimale per un dialogo intrafamiliare che voglia essere appagante e nutriente è quello profondo… intimo… per il quale è più indicato un habitat di silenzio. Questo è anche il livello al quale sgorga la preghiera, preghiera coniugale e familiare altresì, fatta più di ascolto e contemplazione e sorriso e gemito dell’anima che non di frastuono vocale o di cicaleccio petulante e lamentoso di ciò che in casa non va… Mario Luzi scriveva: “La preghiera comincia dove finisce la poesia, quando la parola non serve più e occorre un linguaggio altro” Magari il linguaggio della tenerezza silente…delle anime oranti… Un’altra attenzione da avere per vivere una atmosfera relazionale dialogante intima è quella che suggerisce di tenere sempre separata la persona dai suoi comportamenti. La persona è sempre amabile pur in presenza di “comportamenti” non amabili. Da qui la delicatezza, in famiglia e fuori, di non giudicare “cretina” l’intera persona per aver avuto un comportamento “cretino”, così come ci si guarda bene dal giudicare una pianta marcia per aver prodotto qualche frutto marcio, come ci si guarda bene dal “buttar via il bambino insieme all’acqua sporca”. Nella fretta con cui si vivono oggi le relazioni succede infatti spesso di non ricordarcene cadendo nella trappola dell’uso del “tu” riferito alla persona intera anziché limitato ad un suo comportamento… Ed ecco allora sentire in atmosfera espressioni della serie: “Sei proprio un deficiente” laddove si potrebbe ovviare con un rilassante e più veritiero: “Sei il mio amore, ma ti posso dire che hai commesso proprio una deficienza?” Ci vorrà più tempo, ma chi ha detto che risparmiar tempo allunga la vita? E poi a cosa vale tutta quella nervosità frettolosa che caratterizza tante e tante conversazioni se dalla vita non si esce vivi? E da ultimo, una indicazione psicologico-spirituale per vivere una relazione intrafamiliare capace di farsi preghiera quotidiana fatta di complimenti e di applausi a Dio per averci messo insieme nella nostra famiglia, così diversi, con quel fratello che non si sa da dove sia uscito, con quel marito che se non avesse quel carattere sarebbe l’uomo migliore del mondo, con quella moglie che per essere perfetta le manca solo un difetto, con quel figlio che non si sa da chi abbia preso, con quella suocera che più suocera non si può, con quel cognato che te lo raccomando, con quel cugino intermittente che si fa vivo solo quando c’è un morto da seppellire ed anche con quel parroco che non ce ne potevano mandare uno meglio, con quel Vescovo che tutto pare se non un pastore, con quel Cardinale che pare gli sia cascato il sorriso sulle pagine di troppi libri letti, con quel Papa che quello di prima era meglio….. L’indicazione è quella di pensare seriamente che alternativa a tutto questo non esiste; e se alternativa non esiste, c’è soltanto una possibilità di vita relazionale e dialogica reale da affrettarsi a mettere in pratica ed è quella di coltivare l’attitudine a vivere “il presente” senza evasioni nostalgiche nel passato morto e sepolto e senza fughe ansiose nel futuro inesistente. Questo, a livello di dialogo spicciolo, proibisce di uscirsene ogni tanto con quelle nefaste espressioni del tipo “Te l’avevo detto” oppure “Vedrai che ti succederà” capaci in un istante di rendere irrespirabile l’atmosfera. Scriveva Mark Twain: “Ho sofferto tante disgrazie nella mia vita… che non mi sono mai successe”. L’indicazione è quella di ricordarci che il presente è il punto di contatto tra l’eternità e ii tempo ed è proprio lì che Dio si fa trovare… Sarà per questo che la tentazione a cui ricorre sempre Satana è quella del catapultare l’uomo fuori dal presente, quella di farlo pentire del passato che poteva essere meglio o di farlo preoccupare per il suo futuro o di farglielo desiderare più promettente del presente? “Sarete come Dei” sibilò il serpente nelle orecchie dell’anima di Adamo ed Eva. E ci cascarono…Si fossero accontentati di quel che già erano! Ogni tentazione viene declinata al futuro… ecco perché il presente sfugge di mano! Ma è una storia che può ripetersi ogni giorno, in tante famiglie, se non si impara a nutrirsi del pane fresco di giornata della fraternità relazionale e a sostanziare questa con il Pane che da la vita eterna cioè la stabilità relazionale definitiva e per sempre- E se, a causa di malanni relazionali inguaribili o di virus capaci di attentare al tessuto delle relazioni familiari, succede all’animo gravato di angoscia di esplodere in lamentazioni per un destino “cattivo” toccato in sorte e all’anima di gemere in un pianto che strappa la carne si abbia ancora il dono di ricordare, in quei momenti che “le nuvole passano, il cielo rimane” e se questo non basta, di ricordare il rimbrotto di Dio Creatore rivolto al lamentoso Giobbe— “Ma mi vuoi dire dove eri mentre ero Io indaffarato a mettere le fondamenta del mondo?”.
In conclusione, questo brano poetico di Helen Mallicoat: Mi rammaricavo del mio passato e temevo per il mio futuro quando, improvvisamente, il mio Signore parlò: “Il mio nome è IO SONO”. Fece una pausa. Io attesi. Poi continuò: “Se tu vivi del passato con i suoi errori e i suoi dispiaceri vivi nel dolore. Io non sono nel passato. Il mio nome non è IO ERO. Se tu vivi del futuro con i suoi problemi e le sue paure, vivi nel dolore. Io non sono nel futuro. Il mio nome non è IO SARO’. Se tu vivi questo momento, vivi nella pace, Io sono nel presente. Il mio nome è IO SONO”.