IL SORRISO DEI NONNI
“Incomincia con l’ammirare quello che Dio ti mostra
e non ti affannare a cercare quello che ti nasconde”.
(A. Dumas)
Io non ho goduto dei nonni: quelli paterni se ne erano già andati prima che nascessi, quelli materni abitavano lontano e per di più la nonna era inferma.
Ho imparato a non rincorre più nostalgie, però mi sarebbe piaciuto averne goduto. In compenso, con lo scorrere degli anni e grazie ai contatti con le più diverse realtà familiari, ho potuto fare esperienza di molti modi di fare i nonni.
Grazie a questa esperienza sono in grado di mettere insieme un identikit del “nonno riuscito” precisando subito che “riuscito” non significa assolutamente “perfetto”. La mania di perfezione è una forma di patologia che sovente ci impedisce di godere anche delle cose più semplici, normali, “non perfette” della vita.
Dico “riuscito” per indicare che con un po’ di buona volontà e giocando d’anticipo sul tempo ci si riesce a diventare nonni riusciti…
Lasciando in disparte il fattore “buona volontà”, voglio concentrare maggiormente l’attenzione sul fattore “tempo” inteso come “preparazione remota” a vivere tale ruolo di nonno…. quand’anche ciò non dovesse capitare per via di consanguineità.
Infatti c’è anche la possibilità di essere “adottati” come nonni da qualche pronipote “adottante”…
E’ determinante il fattore “tempo” perché nulla si improvvisa nel mondo umano, tanto più ad una certa età, quando i cambiamenti di atteggiamento interiore sono resi più difficili per via dell’avvenuta strutturazione della personalità e delle abitudini.
Paradossalmente parlando si potrebbe anche arrivare a sostenere che la preparazione remota sia più importante di quella prossima, di quella cioè che ci si affretta a comporre alla nascita di un nipotino, buttandosi magari nella lettura di libri sulla terza età e così via…
Su cosa basare invece l’importanza della preparazione remota. Innanzitutto su un convincimento di fondo molto forte: ognuno diventa ciò che è.
Forti di questo convincimento si può tranquillamente dedurre che si diventa nonni riusciti a partire dall’essere oggi persone riuscite, persone cioè decentemente mature o umilmente in maturazione permanente.
E’ un po’ come il buon giorno che si vede dal mattino. Perché il tramonto della propria vita sia caldi di affetto per i nipotini occorre essersi adoperati per tempo a tenere lontani nuvoloni e tempeste fin dall’aurora..
E per tenere lontani, per tempo, questi nuvoloni di tristezza, o di risentimento occorre (ed è conveniente) coltivare con cura quattro atteggiamenti interiori, simultaneamente, nello scorrere normale della ferialità: il senso del positivo, il senso della speranza, il senso del mistero, il senso del sorriso.
Il senso del positivo consiste in quella particolare sensibilità a cogliere senza troppa fatica il lato buono delle persone, delle cose e delle situazioni di vita o quanto meno a sospendere, se proprio non ce la si fa, il giudizio frettoloso e non di rado definitivo sulle stesse. L’inclinazione a vedere subito una “macchia” su una parete al 99% pulita ci porta molto spesso a giudicare “cattiva” o “antipatica” l’intera persona per via di un comportamento “cattivo”.
Avere e coltivare il senso del positivo consiste essenzialmente nel controllare l’istintiva puntigliosità di aver sempre da ridire, da precisare, da chiarire, la tendenza a cercare il pelo nell’uovo non accorgendosi dell’uovo… Coltivare il senso del positivo ha a che fare, andando avanti negli anni, con la necessità di tenere lontana la tristezza, magari ricordando questo detto: “ Non puoi impedire agli uccelli della tristezza di volare sopra il tuo capo, ma puoi certamente impedire loro di farsi il nido tra i tuoi capelli”.
Il senso della speranza è quella particolare predisposizione dell’animo umano e dell’anima a sviluppare in senso buono e futuro il fotogramma del positivo del presente. E’ una sorta di conseguenza naturale dell’atteggiamento precedentemente illustrato. Il senso contrario alla speranza è rappresentato dalla lamentosità, dalla sospirosità, dal catastrofismo… da tutto quanto cioè consiste nel curioso tentativo di “mettere le nuvole di domani davanti al sole di oggi”.
Il senso del mistero è quella particolare predisposizione dell’anima ad accogliere il senso generale della vita al di là di ogni pretesa di spiegazione preventiva. Favorisce lo sviluppo di tale predisposizione la capacità di godere del presente con tutti i suoi doni, magari ringraziando il Donatore. Scriveva A. Dumas: “Incomincia con l’ammirare quello che Dio ti mostra e non ti affannare a cercare tutto quello che ti nasconde”. Contraria a questa predisposizione naturale dell’anima che la vita abbia comunque senso soni i virus dell’arroganza intellettuale, dell’ossessività ideologica, del razionalismo a tutti i costi. Non è male ricordare, a tale proposito, qualche massima. “L’ultimo passo della ragione è quello di ammettere che vi sono cose che la superano”. Ed anche, come scriveva Confucio: “Ci vuole tutta una vita per capire che non si può capire tutto”.
Il senso del sorriso da intendere, forse, come unico mezzo fisico a disposizione per rendere manifesti e visibili i tre atteggiamenti interiori appena descritti. Se è vero, come scriveva il teologo Romano Guardini che “L’uomo è interiorità che si manifesta” volti cupi, corrucciati, troppo pensierosi o addirittura piagnucolosi rendono un cattivo servizio a quella interiorità positiva fino a celarla del tutto.
Con questo corredo interiore sarà possibile, se e quando chiamati in causa, intraprendere il cammino di “nonno riuscito” magari anche pensando che Dio stesso possa essere un grande e simpatico Nonno.
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(www.gigiavanti.com)