SALVIAMO L’UMORISMO …
(tanto dalla vita, anche ad essere seri, non si esce vivi!)
La barca del mondo naviga in acque agitate come mai. Ha bisogno di sostegno per evitare il naufragio. Ad offrire tale sostegno mira questa proposta…
Avere il senso dell’umorismo significa possedere la chiave dell’allegria. E della santità. L’originalità di don Bosco fu di aver dato un valore pedagogico alla gioia, al buon umore; cioè di avere, non soltanto accettato, ma anche condiviso come educatore quell’allegria aperta e gioiosa del giovane.
Fu la pedagogia della gioia, in termini moderni, della serenità; liberatoria quindi dalla nevrosi e stimolatrice di creatività, in quanto infondeva speranza, voglia di lavorare, di studiare, di vivere, di condividere e di convivere.
L’allegria non serve infatti soltanto alla distensione psichica del soggetto, ma è anche uno stimolo creativo ai suoi valori interiori e a un positivo comportamento sociale.
San Domenico Savio, che a quattordici anni lo aveva ben capito, diceva: “Qui da noi la santità consiste nello stare molto allegri, per essere come il Signore. Il demonio teme le persone contente. Sappi che qui noi identifichiamo la santità con la grande allegria, perché siamo come il Signore. Il demonio ha paura della gente allegra.”
Il senso dell’umorismo, infatti, è la capacità di vedere il lato buffo delle cose anche in situazioni tristi e spiacevoli.
Un imbianchino cade dal secondo piano restando incolume. Una signora caritatevole gli offre un bicchiere d’acqua , poi domanda: “Mi scusi, da che piano bisogna cadere per avere un bicchiere di cognac”?
Un giorno il professor Cagnotto entra in classe e vede scritto sulla lavagna: “Cagnotto asino!” Senza scomparsi, domanda: “Chi è che ha scritto il suo nome accanto al mio?”. Tutta la tensione si scioglie e la classe ride!
Una volta un impiegato della ditta specializzata negli impianti d’aria condizionata continuava a dire che si trattava “di un prodotto della civiltà”. Dopo un po’, per liberarsi dall’importuno, il proprietario della villa
disse: “Ma io non voglio prendermi una polmonite civile”.
L’umorismo è segno di maturità. La prima volta che si ride di una battuta a proprie spese, si può dire di essere diventati adulti, notano tutti gli psicologi a qualsiasi scuola appartengano.
L’umorismo rende simpatici, non fa forse sprizzare gioia attorno a sé che, ad esempio, aggiorna in modo scherzoso i vecchi proverbi? Qualche esempio:
“Chi dorme non piglia la curva”.
“Il mondo è fatto a scale. Chi è furbo prende l’ascensore”.
“Si dice il peccato, ma non il deputato”.
“Chi tardi arriva, mal parcheggia”.
“L’occasione fa l’uomo ministro”.
“Chi fa da sé fa per tre… e crea quattro disoccupati”.
“Sono talmente abituato ad essere teso che quando sono calmo mi sento nervoso”.
Epitaffio trovato scritto sulla tomba in un cimitero di montagna: “Ve l’avevo detto che stavo male”.
“Tra moglie e marito… preferisco la moglie!”
“Non fidatevi delle persone che non ridono mai, perché non sono persone serie”.
L’umorismo è una forza. Li scriveva Sigmund Freud: “L’umorismo è il più potente mezzo di difesa. Permette un risparmio di energia fisica. Con una battuta di spirito blocchiamo l’irrompere di emozioni spiacevoli”.
Non può essere che così. L’umorismo, infatti, sdrammatizza tutto. Sdrammatizza le cose più banali.
“Mi sono spaccato il pipistrello della mano sinistra” scherzava Totò. Sdrammatizza la morale: “Dopo il peccato di Adamo non si riesce più a commettere un peccato originale”. Sdrammatizza il matrimonio. Un tale va a confessarsi: “Padre, sono sposato”. “Ma questo non è un peccato”, risponde il confessore. “Me ne pento lo stesso”.
Sdrammatizza gli imprevisti. Quando il futuro Papa San Giovanni XXIII fece l’ingresso come Patriarca a Venezia, un colombo gli lasciò cadere dall’alto un poco pulito ricordo. Gelo tra gli astanti. Il porporato sdrammatizzo: “Per fortuna non volano le mucche!”
Sdrammatizza anche la religione. Un turista osserva il parco macchine del Vaticano e, scuotendo la testa, dice alla guida: “E pensare che tutto è cominciato da un asino”!
Sdrammatizza persino la morte: “Peccato che per andare in Paradiso non si possa prendere un taxi… ma un carro funebre”.
Che cosa si vuole di più? Una cosa sola: scongiurare il buon Dio perché ai cinque sensi che già ci ha regalato aggiunga, subito subito, il senso dell’umorismo.
Senza di esso saremmo terribilmente più poveri e infelici.
Insomma, salvare l’umorismo non è in optional, ma un dovere sociale.
Un giorno Charles Schulz, il celebro disegnatore statunitense, autore di Linus e del cane Snoopy, ha confidato: “Se mi fosse possibile fare un regalo alla prossima generazione, darei ad ognuno la capacità di ridere di se stesso”.
Per riconoscere se anche nella famiglia va bene… basta chiedersi, ogni tanto: “Ci divertiamo ancora insieme?”
Tratto dalla rivista: IL BOLLETTINO SALESIANO.
Giovannantonio Forabosco, L’UMORISMO (psicologia e istruzioni per l’uso), Franco Muzzio Editore (1994)