Notte, beltà tua mi reca li antichi sogni, e mi ritrovo curvo a mirar gli steli dall’iperboreo spiro mossi. E quando per le desolate vie funeree danzano le foglie al sidereo chiaror e le cime degli arbusti fan si per toccarsi, odo nella voce tua il pianto della nativa mia terra, e miro quei monti che il mio cor fan si puro e beato. Miro Eterno le valli dal sol baciate, e li agili fiumi, ristoro più volte all’arida mia bocca, che lesti e infiniti, di limpida acqua, bagnan gli assetati arbusti che sul letto dorato stendon le fronde. E le bianche vette, degli dei unica dimora, farsi vermiglie al sol del vespro. E faggeti di verdi luci infiammarsi, quando il più bel astro nostro, tra le fitte foglie, la luce irradia a quell’ombrose e brune terre. E miro il savio bracciante, orgoglio e fortuna del crudel nostro mondo, guardar commosso le cime sue, e, stanco del genuino agreste lavoro, portar nella stalle le pingui giovenche, che non le scovi la famelica volte. Queste cose tutte vedo nell’intimo mio, e il triste animo si fa lucente ed eterno per memoria delle sue gioiose terre. E il vento che pria mi fea sentir solingo e mesto, ora col cuor commosso ringrazio dell’eternità che mi fa grazia di goder in così tale umile corpo. (Francesco Avanti, 18 anni)