La nostra epoca passerà alla storia come l’epoca del rumore, del chiasso, del frastuono, dell’urlare anziché del parlare, del sussurrare. Rumore, chiasso, frastuono, urla fanno male all’anima che è invece tarata sul silenzio. Il silenzio è l’habitat naturale di vita dell’anima. E’ urgente e necessario quindi abitare questo silenzio, ascoltarlo.
Ma per poterlo ascoltare occorre prima di tutto saperlo e volerlo rispettare, il silenzio. Dico “rispettare” il silenzio e non “fare silenzio” perché il silenzio non viene generato da noi quando stiamo zitti e non facciamo chiasso. Il silenzio esiste di per sé, occorre solo accorgersi della sua presenza e magari dargli lo spazio che gli compete,rispettarlo quindi.
Sarà certamente capitato a molti di leggere la scritta “Silentium” sul frontespizio delle porte d’ingresso di sacrestie, conventi e analoghi luoghi custodi di preziosità antiche.
Ed è proprio questa parola “silenzio” a suggerire considerazioni, probabilmente proficue, sia sul piano psicologico che su quello spirituale.
La parola silenzio infatti ha come radice il verbo latino “silére” che sta a significare il fruscìo della spiga di frumento nel suo schiudersi (ssst, ssst).
Già si intravvede una curiosa connessione tra silenzio, alimento, ascolto e, spingendoci oltre i confini del puro razionale, si intravvedono anche concatenazioni più suggestive tra queste parole quali, ad esempio “ascoltare in silenzio”, “ascoltare il silenzio”, “silenzio terapeutico”, “silenzio eucaristico”.Trovo scritto: “Le parole servono la mente, i gesti servono il cuore, il silenzio serve l’anima”.
Il silenzio, appunto. Trovo anche, dall’esperienza della vita, l’espressione (usata, abusata e non di rado urlata da docenti d’ogni grado): “Fate silenzio”, quasi fossero gli ascoltatori a generarlo, tale silenzio.
Il silenzio non viene generato nel momento che qualcuno ci intima di “stare zitti”, il silenzio esiste di per sé, è una sorta di DNA del creato, qualcosa di ontologico, qualcosa come il sorriso invisibile del Creatore; è l’alveo naturale dell’essere che s’è fatto divenire, una sorta del dipanarsi silenzioso del boato del big bang.
Un divenire che, incomprensibilmente o misteriosamente, ha gravato l’essere caricandolo di pesantezze chiassose, rumorose, fuorvianti, alienanti.
Occorre soltanto la delicatezza relazionale di fare spazio al silenzio, l’accortezza di dargli il suo posto, di tenercelo alleato nel tessere le relazioni interpersonali, di sfruttarne al meglio le sue potenzialità. Il silenzio è il luogo dove l’anima e il suo Creatore si trovano maggiormente a loro agio, è il loro habitat naturale, è il luogo privilegiato dello stare insieme a livello profondo, anche tra le persone.
E ciò senza per nulla sottovalutare la parola e il gesto, ma al contrario per potenziarle dal di dentro, per dar loro anima e senso integrali.
La rivalutazione del “silenzio”, dell’ascolto silenzioso va, paradossalmente parlando, nella direzione opposta alla tendenza della cultura odierna, al martellamento parolaio, all’urlato delle opinioni personali, all’ostentato e pavoneggiante autoreferenziale narcisismo ideologico per il quale ci si fa una propria idea del reale, ci si innamora della medesima e si finisce per affogarvici dentro, e va anche nella direzione opposta a quella dello squallido e stucchevole consumismo commerciale di gesti gonfi di vacuità seduttiva o erotica.
Ci sono luoghi privilegiati dagli amanti del silenzio, tipo monasteri e conventi ed eremi. Alla domanda sul ruolo dei monasteri e dei monaci, un priore di Camaldoli (padre Barban) ebbe a dire: “Il loro compito credo sia quello di tramandare una eredità preziosa: quella del silenzio”.
La rivalutazione del silenzio favorisce ed incoraggia la rivoluzione culturale dell’anima, di quell’anima non dotata, per natura creata, di potenziale di attrazione fatto di rumore, di chiasso, di frastuono, di proclami, di denunce, di ostentazione vanitosa di nudità, di spogliarelli seducenti.
La potenzialità seduttiva di cui è dotata l’anima è fatta di ammiccamenti suadenti, di soavi movenze possibili ad essere colte soltanto elevandosi all’altezza delle vette dove il silenzio canta e l’aria è di cristallo.
E’ a questo livello di relazione (che la letteratura psicologica e quella spirituale concordano nel definire livello “intimo”) che avviene il “mirabilis”, il meraviglioso, il miracolo della guarigione, della ripresa, della risalita dal fondo del soffrire o, quanto meno, il “mirabilis” del riuscire a vivere nella serenità del qui ed ora, tenendo a bada lamentazioni, recriminazioni, sospiri dolenti che coprono come nuvole nere l’azzurro del cielo. Si ricordi: “Le nuvole passano, il Cielo rimane”. (Gigi Avanti)
Suggerimento bibliografico:
Roberto Sarah (Con Nicolas Diat) LA FORZA DEL SILENZIO (Contro la dittatura del rumore), Prefazione di Benedetto XVI), Cantagalli 2017)