L’arte di rispondere … facendo domande!

   Circa il rispondere con una domanda a chi pone domande.

“Un simpatico aneddoto ebraico racconta che in principio Dio creò il punto di domanda e lo pose nel cuore dell’uomo. La domanda ti spiazza, ti coinvolge, ti rende soggetto importante nella relazione. 

Mi viene in mente la storiella di uno studioso del Talmud, il quale girava per le piazze e per le strade chiedendo ai suoi compagni: “Chi mi vende una domanda? Gli do in cambio 100 risposte”.

Il buon Oscar Wilde ripeteva: “Chiunque nella vita ti può dare risposte, ma per fare una domanda occorre un genio”.

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Se un bambino di 10 anni chiede alla mamma: “Mamma a che ora si mangia stasera?” e  la mamma frettolosamente  risponde: “Lo sai no?” oppure “Alla solita ora”…  non da una vera risposta. Se la mamma vuol sapere come mai il bambino le fa questa domanda nel qui ed ora è obbligata a rispondere: “Come mai me lo chiedi?”… E magari potrà ottenere la vera risposta: “Perché sto finendo i compiti e ho bisogno di altri dieci minuti di tempo”.

Il racconto che allego qui sotto (letto in chiave di relazione consulenziale) è molto illuminante al riguardo.

                           CONCENTRAZIONE E COMPASSIONE

                                    (come ascoltare e rispondere)

   “Un giovane che aveva gravi problemi si presentò un giorno in un monastero e chiese di parlare con l’abate. “La vita è per me un peso insopportabile” gli dichiarò. “Quando mi alzo la mattina, mi chiedo perché lo faccio; ogni giorno è una sofferenza; non so più a chi rivolgermi. Ho sentito dire che il Buddismo promette la liberazione dal dolore, già qui in questa vita. Ma io non sono capace di lunghi sforzi: non potrei passare anni a meditare o a fare sacrifici. Avrei bisogno di un metodo semplice e immediato, di una via breve. Mi sapete dire se esiste?”

L’abate gli domandò: “Che cosa sai fare?”. “Non so fare niente e non sono nemmeno capace di studiare.” “Ma c’è qualcosa che ti piace fare?”. “Soltanto una cosa: giocare a scacchi”.

L’abate ordinò che gli venissero portate una scacchiera e una spada. Poi mandò a chiamare un monaco. “Tu mi hai giurato obbedienza” gli disse. “Ora devi mantenere il tuo voto. Giocherai una partita a scacchi con questo giovane. Ma bada bene: se perderai, ti taglierò la testa con questa spada. Se invece sarà lui a perdere, taglierò la sua testa. Vi prometto, comunque, che chi morirà raggiungerà in quel momento l’illuminazione”.

I due giovani fissarono pallidi l’abate e capirono che non stava scherzando. Ma non se la sentirono di tirarsi indietro. Erano infatti lì per quel motivo: per raggiungere l’illuminazione e, con essa, la liberazione da ogni sofferenza. E sapevano di dover rischiare ogni cosa, anche la vita. Così acconsentirono e incominciarono a giocare.

Entrambi si concentrarono come non avevano mai fatto: le loro gocce di sudore cadevano sulla scacchiera, che ormai rappresentava tutta la loro vita, tutto il loro mondo. Vincere o morire: non c’era una terza possibilità.

L’abate li osservava impassibile con la spada in mano. Il giovane si trovò dapprima in svantaggio, ma poi il monaco fece una mossa sbagliata, che in breve lo mise in difficoltà. “La vittoria non può più sfuggirmi” pensò il giovane. (Pensiero virale perché non legge la realtà).

E si mise a guardare l’avversario. Vide che aveva solo qualche anno più di lui, notò l’espressione seria e capì che doveva aver trascorso anni in quel monastero, sottoponendosi a prove e sacrifici. Certo, anche l’altro sentiva la sofferenza della vita e voleva liberarsene; e si era, per questo, impegnato con tutte le sue forze. Che differenza c’era fra loro? Nessuna; solo che lui, il monaco, si era impegnato di più. Ma ora stava perdendo a quel gioco, e sarebbe morto.

Il giovane provò, a questo punto, una grande compassione per il suo avversario e non desiderò più vincere. (Ecco come nasce l’empatia).

Compì una serie di errori deliberatamente, finché fu vicino alla sconfitta definitiva, allo scacco matto.

A quel punto l’abate si alzò, sollevò in alto la spada e l’abbatté…non sul colle del giovane, ma sulla scacchiera, che andò in frantumi.

“Non c’è né vincitore né vinto” dichiarò. “E quindi non taglierò la testa di nessuno”. Poi aggiunse rivolto al giovane: “Due sole cose sono necessarie: la concentrazione e la compassione. Tu oggi le hai sperimentate entrambe. (Ecco la risorsa interiore intercettata dall’ascolto da parte dell’abate)).

Eri completamente concentrato nel gioco e, in quella concentrazione, hai potuto sentire compassione per il tuo avversario. Questa è la via che cerchi”.

   In questa storiella che illustra in modo inequivocabile il comportamento funzionale di un ascoltare adulto (che si attiene pertanto alla richiesta, che non alimenta illusioni magiche…) va sottolineato il comportamento  dell’abate, che oltre a non lasciarsi irritare dalla domanda iniziale del giovane…e dalle sue prime risposte quasi irritanti, vuole accedere all’intimo della persona utilizzando la tecnica del “domandare” proprio in riposta ad una “domanda”.

   Questa tecnica fa parte della cultura ebraica e permette di andare all’anima del domandare, non lasciandosi ingannare dalla primitiva richiesta esteriore.

   Narra un aneddoto che una volta fu chiesto ad un ebreo come mai fosse consuetudine, presso gli ebrei, di rispondere ad una domanda ponendo un’altra domanda; e l’ebreo rispose “E perché no?”.

   Questa storiella permette di evidenziare a quali “tentazioni” può cedere un consulente (o un ascoltatore quale che esso sia).

   Affermava G. B. Shaw: “A tutto posso resistere, tranne che alle tentazioni”. Ma non era un consulente familiare. Aveva però il senso del paradosso che ogni buon ascoltatore-consulente farebbe bene a fare proprio come strumento da usare per rintuzzare gli attacchi delle tentazioni consulenziali. (fretta, reazioni istintive, cadere nel controtransfert…)

   E’ risaputo quanto siano numerose le “tentazioni” del consulente, cadendo nella trappola delle quali ne uscirebbe fortemente compromesso il delicato e paziente lavoro di aiuto messo in atto.

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