DIRE, FARE, ESSERE…PAROLA, CARNE, PANE!
(Suggerimenti per una curiosa “strategia pedagogica”)
Messe in ordine così, queste parole possono sembrare non avere senso. Invece, a ben considerare, esse nascondono quella che si potrebbe definire una sorta di strategia educativa intesa in senso lato.
Una strategia pedagogica curiosa se soltanto si pensa che ad averla inventata è stato lo stesso Creatore, alle prese, fin dall’inizio, con la realtà – problema dell’educazione dell’umanità.
Strategia inventata dallo stesso Dio e pertanto giocoforza da adottare da parte di educatori di ogni tempo ed età.
Educatori loro stessi alle prese con una realtà (quella di un rapporto educativo sano e congruo)) sovente carica di problemi.
Molto è stato scritto, in proposito, con lo scopo di aiutare a risolvere tali problemi. Questa riflessione non aggiungerà nulla di nuovo, ma potrebbe aprire un nuovo scenario, se vogliamo curioso, proprio sull’approccio educativo in generale.
Un nuovo approccio educativo proprio a partire da quella che si potrebbe definire, con tutte la cautele del caso, la “strategia educativa di Dio” nei confronti dell’umanità.
“In molti modi e molte volte Dio ha parlato per mezzo dei profeti” è scritto nei testi sacri. E questa si potrebbe chiamare la fase del “dire”, della “parola”, dell’insegnamento, per così, dire orale.
“Quando venne la pienezza dei tempi, la Parola si fece carne”, è ugualmente scritto nei sacri testi. E questa si potrebbe chiamare la fase del “fare”, della “carne”, dell’esempio da dare.
Infine rimane la fase dell’ “essere”, inteso come sintesi del dire e del fare. E questa si potrebbe chiamare la fase del “pane”… dell’Eucaristia.
Già da questi cenni potrebbero derivare alcune interessanti conclusioni di carattere pedagogico (e magari anche “andragogico”, che significa “educazione dell’adulto”).
“Parola”, “Carne”, “Pane” diventano, a questo punto una sorta di approccio e di strategia educativa in senso lato, applicabile anche nel qui ed ora, ovunque vi sia una “relazione educante”.
Magari non abbondando troppo di parole nella fase prima della vita dell’essere umano, quando il pensiero del bambino è ancora improntato al gioco e alla fantasia.
Anche perché in questa prima fase, il bambino impara per “via imitativa”, impara cioè maggiormente o più facilmente per quello che vede fare dagli educatori che non per quello che dicono. E proprio qui si innesta la fase del fare, del “dare esempi” di coerenza, di “incarnazione del dire”.
Senza farlo pesare troppo però, non abbondando in spiegazioni, sermoni o didascalie ossessive del proprio agire educativo.
Per arrivare poi, senza affanni o sensi di colpa, alla fase dell’essere, del “pane” silenzioso e nutriente (il silenzio “eucaristico” come paradigma di un “silenzio pedagogico”).
Azzardato fin che si vuole tale accostamento tra la strategia educativa di Dio nei confronti dell’umanità e la strategia educativa tra umani, ma comunque rilassante per tante persone in affanno o accanimento pedagogico.
Da notare che la successione cronologica di “dire, fare, essere” (parola, carne, pane) non va presa in senso rigido, ma va presa in senso molto elastico in ragione delle varie situazioni nelle quali l’educatore si trova a vivere.
Senza mai dimenticare la massima di don Bosco che diceva e scriveva: “L’educazione è cosa del cuore”.
Per non dire di Sant’Ignazio di Antiochia: “Si educa molto con quel che si dice, ancor più con quel che si fa, molto di più con quel che si è”.
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