C’ERA UNA VOLTA IN UN PAESE NEANCHE TANTO LONTANO…
Ciao Gigi, nei giorni scorsi mi sei venuto in mente a proposito di una storia. Mi hanno raccontato una storia, sì!
C’era una volta in un paese neanche tanto lontano un alpinista e una montagna. L’alpinista era uno di quelli bravi. Coraggioso. Fisicamente forte e, come si dice, in possesso di una buona tecnica.
Aveva scalato una quantità di montagne, alcune in situazioni delicate, spesso difficili.
Girovagando per monti aveva affinato una sorta di fede nel Creatore.
Dalle vette ammirava estasiato il sorgere del sole, laggiù, lontano, dove l’altezza incurva l’orizzonte. La natura possente in cui si muoveva l’aveva convinto, nel tempo, lui scettico, dell’esistenza di Dio. Insomma, un brav’uomo.
Ti dicevo, Aveva scalato tutte le montagne, ma gliene mancava una, la più grande, la più bella, la più difficile. Ho chiesto al narratore quale nome avesse la montagna, ma senza ottenere risposta.
L’aveva studiata per mesi e scrutandone i punti deboli intravvide una linea di salita. Poi un giorno partì. Di mattina presto, ancora con il buio. La pila frontale sistemata sul casco rischiarava appena i suoi passi sul ghiacciaio.
Per tutto il giorno salì la montagna nonsocomesichiama…
Non raggiunse la cima. Decise quindi di bivaccare in parete e riprendere l’arrampicata l’indomani. Ma nella notte il tempo cambiò. Si alzò un vento impetuoso e una furiosa, immensa tempesta di neve avvolse la montagna.
Rapidamente si trasformò tutto in una lastra di ghiaccio. Gli eventi precipitarono rapidamente e l’uomo si sentì perduto. Doveva scendere e in fretta. Sapeva che in quelle condizioni non sarebbe sopravvissuto alla furia della tempesta. Sapeva che la discesa era rischiosissima, ma non vi erano altre soluzioni.
Trattenendo la corda tra le mani, ormai diventata di ghiaccio per l’infuriare della tempesta, scese per ore, nel buio, con estrema difficoltà.
Improvvisamente perse l’appiglio e precipitò in fondo all’abisso. Vide tutta la sua vita scorrerle davanti e in quei lunghi interminabili istanti gridò sopra il frastuono del vento: “Signore, Signore, salvami!”.
Lo fermò uno strappo terribile. Da qualche parte, lassù, in alto, la corda si era impigliata, Chissà, come, chissà dove.
Ma subito realizzò di essere sospeso nel vuoto. Tentò invano più volte con ogni mezzo, pencolando, di trovare una via d’uscita.
Inutilmente. Disperato, raccolte le ultime forze, implorò ancora: “Signore, salvami!”.
Udì distintamente una voce: “Dimmi cosa posso ancora fare per te?”. “Signore, salvami”.
“Vuoi davvero salvarti? Prendi il coltello che hai nello zaino, taglia la corda e sarai salvo”.
Il pover’uomo, stremato, pensò che quello non era il momento di perdere la testa. Così serrò le mani intorno ala corda e aspettò in mezzo alla bufera.
Fatto giorno i soccorritori salirono ai piedi della montagna. Lo trovarono appeso alla corda, un pezzo informe, di ghiaccio.
Un soccorritore commentava: “Non si può morire così, non si può!”.
Non si era accorto che la corda, impigliandosi, l’aveva trattenuto a soli due metri dal suolo. Bastava tagliarla. Si sarebbe salvato.
Sai la cosa strana di questa storia qual è? Il nome della montagna. Non lo sapevano o non hanno voluto dirmelo. Dopo molto tempo, dietro soave insistenza, uno di loro mi svelò il nome della montagna: FEDE
(Albino Taeggi)