METTERSI INSIEME…è facile! Più difficile è METTERE SU FAMIGLIA

Perché così spesso “mettersi insieme” oggi non è anche “mettere su famiglia”? (Annarita) (dalla rivista SE VUOI)
Annarita, complimenti… nella tua domanda c’è già inclusa la risposta. Intendo dire che, ragionando in termini un po’ paradossali, oggi accade così nei rapporti ragazzo – ragazza, perché “mettersi insieme” non è difficile, mentre “mettere su famiglia” lo è. E lo è diventato sempre di più in questi ultimi decenni in quanto che la cosiddetta “cultura” di fondo che subdolamente influisce sulla convivenza umana è una cultura più incline al frammentario che non al definitivo, è una cultura più tendente a vivere l’emozione del momento che non a impegnarsi per una progetto di lunga durata, è una cultura tinta di individualismo più che di relazionalità, è una cultura drammaticamente paradossale che lascia aperta la porta alla “reversibilità” in una situazione di scelta che per natura sua postula di non guardare indietro una volta “messo mano all’aratro”, è una cultura tronfia di razionalità ma scarsa di spiritualità, una cultura che snobba il mistero, una cultura del “fai da te” (salvo poi a rincorrere guru, terapeuti, maghi di varia specie per correre ai ripari), è una cultura sbilanciata sulla tecnica noncurante dell’etica (chi ha detto che se una cosa la si può tecnicamente fare, sia lecito e onesto farla?). E faccio pausa un momento con questo sfogo. perché non ti vorrei spaventare con questa tiritera sociologica, ma siccome la tua è proprio una bella domanda e vi leggo tra le righe un sommesso invito al positivo, voglio tentare di trovare l’elemento che tiene insieme tutte queste caratteristiche “culturali” o di costume relazionale e questo elemento mi pare di ravvisarlo nella non “crescita” dell’uomo di oggi (ricordo per inciso che il primo comando del Creatore alla coppia fresca fresca di matrimonio – e i due non avevano neppure avuto il tempo di “mettersi insieme” – è “crescete”…, parola etimologicamente imparentata con il verbo “creare”, quasi a dire “portate avanti quel che ho creato”). Questa mancata crescita verso l’adultità blocca sovente ragazzi e ragazze alla fase della “adolescenzialità psichica” caratterizzata appunto dal dominio del sentimento per sua natura oscillante e poco stabile (laddove la stabilità la dà invece la “decisione”, la “scelta” di “amare”… senza dimenticare che la parola “amore” ha una radice etimologica sconvolgente, quella latina di “a – mors” e cioè “non morte”). In una parola, è una cultura della paura più che non della speranza… Paura del “per sempre”. Il per sempre è roba per gente coraggiosa, adulta, matura. I ragazzi e le ragazze di oggi, invece “così spesso” vengono braccati dalla paura di crescere. Se a questo poi si aggiunge che non si fidano di nessuno che li possa aiutare a crescere (“Signore, aiutami a crescere”… oppure “accresci la mia fede”), la situazione si complica. Tutto ciò è potuto accadere, quindi, perché è stato intaccato il “rapporto con Dio”. Già lo aveva intuito lo psicologo Carl Gustav Jung (non troppo gradito ai seriosi e sussiegosi analisti “padreterni” della prima ora!) quando affermava: “Molte nevrosi dell’uomo moderno sono riconducibili ad un non risolto problema religioso”. Ma torniamo a noi, carissima Annarita. Se “mettersi insieme” è facile e “mettere su famiglia” è difficile, e se così spesso tanti ragazzi e ragazze d’oggi optano per la prima “scelta” (che più che una scelta sembra essere un trovarsi scivolati dentro a una situazione piacevole talvolta a propria insaputa…) lo si deve anche al fatto che, a livello filosofico – culturale si sta vivendo un passaggio pericoloso, il passaggio dalla “persona fonte del diritto” al ”desiderio fonte del diritto”, nel senso che si pensa di avere diritto ad avere una cosa semplicemente perché la si desidera in quanto attraente e piacevole (è una vecchia storia… capitata a una certa Eva e al suo Adamo…). Per esempio si desidera essere considerati “sposati” anche se non lo si è (e magari anche tra persone dello stesso sesso…) e si pretende di avere i medesimi diritti di chi sceglie il matrimonio, civile o religioso che sia, nonostante il rifiuto del matrimonio come istituzione… Come se qualcuno pretendesse di avere i medesimi diritti di un prete senza volerlo diventare! Curioso eh? Le scienze del diritto invece hanno da tempo affermato che è la “persona” tutta intera ad essere fonte del diritto e non soltanto la sua parte “bambina”. Il bambino, si sa (e lo sosteneva già Freud) agisce guidato dal principio del piacere e fa prevalentemente quello che gli “piace”, mentre l’adulto diventa tale quando riconosce di dover fare anche quello che gli “costa”… senza troppe storie. Il semplice “stare insieme” è piacevole, mentre “fare famiglia” costa… Senza dire che lo “stare insieme” non sembra configurarsi come una scelta adulta completa in quanto mancante dello scopo, della “finalità”. Potrei chiederti, cara Annarita, a che cosa è finalizzato lo stare insieme? Qualcuno potrebbe dire che lo “stare insieme” piano piano avvia verso il “fare famiglia”… Ma si aprirebbe, per i due, tutta una situazione interiore di ansietà… poco giovevole alla maturazione dello stile di vita della coppia. E qui si potrebbe aprire il discorso, magari da affrontare una seconda volta, delle “convivenze” all’italiana o delle convivenze quali che esse siano, vissute come propedeutiche al matrimonio, esperimentate come una sorta di prova. Senza andare troppo per le lunghe cito soltanto, magari anche un po’ stiracchiata, questa considerazione: “Non è cosa molto intelligente voler provare cos’è la morte con un lungo sonno, e neppure è cosa più saggia pretendere di sperimentare l’unione coniugale prima di entrare totalmente nel matrimonio”. (Theodore Bovet). Per concludere, cara Annarita, riprendo dalla tua domanda l’espressione “così spesso” che mette proprio il dito sulla piaga… Così spesso sta dilagando questo “stare insieme” non finalizzato e non progettuale perché “così spesso” è invalso l’uso di voler manovrare di testa propria la propria vita ignorando che essa è invece da manovrare rispondendo ad una “vocazione”. O anche questa parola fa paura? E allora servirebbe fare come fanno i bambini quando hanno paura, e cioè chiamare papà o mamma…Ed ecco dal cuore impaurito sgorgare l’orazione dell’anima “Padre Nostro”. E data la tua, immagino, giovane età ti voglio regalare questa parafrasi di un proverbio conosciutissimo: “Un Padre nostro al giorno toglie il maligno di torno”, il maligno della superbia, dell’avarizia, della lussuria, dell’ira, della gola, dell’invidia, dell’accidia… e (forse non lo sai che originariamente i vizi capitali erano 9… ai quali facevano quasi da contraltare i 9 frutti dello Spirito elencati da san Paolo) quello della menzogna e della paura.
(Gigi Avanti, consulente familiare, http://www.gigiavanti.com)

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