Si chiamava Fiamma ed era un pezzetto di luce brillante dall’alto di un Cero. Era nata dallo sfrigolio di un fiammifero dalla testa blù. “Un fiammifero di nobile origine…” pensava Fiamma con una punta d’orgoglio. Era ancora una giovane fiammella, come ce ne sono tante, ma c’era qualcosa in lei che la distingueva: un particolare riflesso azzurro, segno di una strana irrequietezza ,di un’ansia interiore. Eh sì, Fiamma era innamorata, innamorata perdutamente di quel grosso Cero sul quale brillava. A dire il vero era un cero qualsiasi, uno di quelli solitamente posti ad illuminare altari stinti ed anneriti nelle vecchie chiese di campagna, ma per lei era l’unico… E Fiamma si struggeva ogni minuto di più a vedere il suo amore con quelle grosse lacrime di cera che scivolavano continuamente sulle sue guance pallide e lisce. Non poteva sopportare l’idea di vederlo morire, morire per lei, per farla brillare. “Devo fare qualcosa” pensava Fiamma ed i suoi riflessi azzurri diventavano sempre più intensi. “Smetterò di bruciare perché il mio Cero non si consumi e muoia”. Così cominciò a farsi più piccola, sempre più piccola, ma non è facile per una fiammella, che è nata proprio per quello, smettere di bruciare. Allora chiese aiuto a Spiffero, un soffio di vento irrequieto che ogni tanto entrava da una fessura sotto la porta e gironzolava lì vicino: “Ti prego, Spiffero – supplicò Fiamma – voglio salvare il mio amore che si sta consumando per me! Passa sopra di me e spegnimi”. Spiffero non capì o non volle capire che quello era l’estremo sacrificio per la giovane fiammella e con la sua solita irrequietezza mulinò due volte attorno a Fiamma ed infine la colpì. In quell’istante Fiamma si dissolse in un soffio di fumo grigio con un riflesso azzurro; quel gelo improvviso fece tremare il grosso Cero e l’ultima sua lacrima, lacrima d’amore, si solidificò sulla sua pallida guancia prima di arrivare a terra… Da allora nessun’altra fiamma riuscì più ad accenderlo e fu gettato via. (Anonimo)