Archivi categoria: Omelie

A cominciare dal dicembre 2001 Gigi Avanti entra a far parte di un gruppo di persone (sacerdoti, laici, religiosi, claustrali…) invitate a commentare in modo omiletico i brani evangelici della domenica.
Tutte le omelie del 2011 si possono leggere in questa pagine, per quelle invece scritte dal 2001 al 2010 cercare Gigi Avanti nell’archivio del sito www.omelie.org

OMELIA DEL 15 AGOSTO FESTA DELL’ASSUNTA (Lc. 1,39-56)

La parola “assunzione”, nella nostra cultura, fa venire subito in mente qualcosa avente a che fare con il mondo del “lavoro”. “E’ stato assunto finalmente”, sospirano i genitori preoccupati per il futuro dei loro figli…”Finalmente ho trovato una sistemazione” dicono tanti giovani al termine di un percorso travagliato di tirocini, di stages, di sistemazioni provvisorie…
Queste espressioni hanno quindi in comune di considerare la “stabilità” lavorativa come valore prioritario e la “definitività” come parametro ottimale di sistemazione. Una considerazione, forse di sapore paradossale, ci stimola però a ricordare che tutta questa agognata “definitività” o “sistemazione” viene cercata e vissuta nel più ampio contesto di “precarietà” che esista e cioè quello della “provvisorietà” della vita terrena.
A questo punto proprio la festa di oggi, quella dell’Assunta, ci costringe a focalizzare la nostra attenzione spirituale su un altro scenario. E non sia considerato irriverente, a questo riguardo, fare memoria di una simpatica battuta…”Maria è stata “assunta” in cielo perché non aveva trovato lavoro sulla terra”…
Ma come mai, viene da chiedermi, il brano del Vangelo scelto per questa speciale domenica che ricorda l’evento “terminale e definitivo” della vita della Vergine fa parte dell’”inizio” del racconto di Luca?

Come mai questa combinata di narrazione dell’ “inizio” di una avventura (avvenuta sulla terra) e “fine” della medesima (avvenuta in cielo)?
Non potrebbe essere già questa una indicazione per come ogni credente dovrebbe inquadrare l’intero arco della sua esistenza…che inizia appunto sulla terra, ma che si conclude in cielo?
E’ curioso infatti notare come, nel giorno dell’assunzione, il brano del vangelo proposto non si cimenti nel raccontare “il fatto”, ma voglia farci capire “come mai” accadde “il fatto”…come mai cioè la Vergine avesse trovato la sua “sistemazione” definitiva oltre la soglia del mondo terreno, proprio nel seno della Trinità.
E la risposta sta proprio nel brano di oggi. La Vergine Maria (giovane ragazza piena di sogni) è stata “assunta” in cielo per aver creduto fortemente, al di là dei suoi sogni terreni, nel nuovo corso della storia che stava iniziando, nella nascita di un nuovo mondo fatto esclusivamente d’amore…E’ per questo che libera dal suo cuore e dalla sua anima il canto del “magnificat”.
Questa è la “combinata della fede” o “della gioia”, una combinata sintetizzabile in queste due espressioni: “Maria è beata per aver creduto senza esitazione” e “Maria ha creduto per grazia di Dio”.
Una combinata, quindi, da poter fare propria perché il “nuovo mondo” inizia proprio nell’esatto momento in cui, per grazia di Dio, si decide di crederci.
E tutto questo può accadere nella vita di ciascuno con il superamento di atteggiamenti tentennanti e sospettosi (tipici delle anime “paurose”) o con il congelamento di atteggiamenti di lamentazione continua e di denuncia martellante dei mali dell’ingiustizia (tipici delle anime “arrabbiate”).
Né paura, né acredine hanno toccato la vergine anima di Maria (anche in questo senso è rimasta sempre vergine), né sospiri, né lamentazioni hanno attraversato le fibre più profonde del suo cuore di mamma…al pensiero di quello che sarebbe toccato al suo specialissimo Figlio.
C’è di più, ed è un particolare importantissimo da fare proprio soprattutto per quelle anime inconsapevolmente desiderose di “scorciatoie” sulla via della salvezza, o di “privilegi” per la funzione che esercitano nel grande spazio del Regno di Dio.
Maria, per aver creduto fortemente e da subito, non ha avuto alcun privilegio, né ha ottenuto sconti sul prezzo che aveva accettato di pagare per conto dell’umanità.
Maria ha avuto solo problemi, umanamente parlando, problemi uno dietro l’altro…proprio a cominciare dal trovarsi incinta in quello “spirituale” modo…e così via.
Maria, come ogni mamma, ha vissuto trepidazione e dolore, ma mai lamentazione o recriminazione come tante mamme…
Maria ha creduto alla “sistemazione” definitiva per suo Figlio ed è per questo che alla fine Egli l’ha voluta associare stabilmente “assumendola” nella Trinità.
Non dovrebbe essere arduo ricavarne indicazioni per come invece l’uomo si arrabatta a cercare “stabilità” sulle sabbie mobili del vivere terrestre…

Gigi Avanti

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OMELIA del 31 luglio 2011

Il Canadian Institute of stress  ha curato recentemente una indagine tendente a individuare le cause profonde dello stress e i possibili rimedi. L’indagine è stata condotta nell’arco di tempo di una ventina d’anni ed ha dato sorprendenti risultati statistici:
sono soggette a cadere nella patologia dello stress (depressione ed altre forme di nevrosi) quelle persone che non sono ancora riuscite a “stabilire cosa è veramente importante nella vita” (24,4 %); seguono poi le persone che non sanno dedicare qualche tempo della loro giornata a “pratiche di rilassamento” (16,8 %), poi quelle “incapaci di comunicare (14,4 %).

Anthony De Mello scrive: “La vita è quella cosa che ci accade mentre siamo occupati  a fare altre cose”.
Il Dalai Lama trova drammaticamente sorprendente che “gli uomini perdano la salute per fare soldi e poi perdano i soldi per recuperare la salute”.

Sembra chiaro insomma che l’uomo moderno (e forse l’uomo di tutti i tempi) oscilli tra paure e collere, tra inquietudini e malinconie… non trovando mai pace.
Sembra anche chiaro che il baricentro di questa “pace” possa consistere in quel punto di equilibrio (da discernere immediatamente) tra quello che è importante e quello che è urgente nella vita.
L’uomo di oggi cade sovente nella trappola delle “urgenze” (fare soldi,  darsi da fare, fare carriera, fare.. fare.. fare…) penalizzando così le “cose importanti”.

Le letture di questa domenica ci offrono luce per individuare tale baricentro, tale punto d’equilibrio.

La domanda  provocatoria riportata da Isaia: “Perché spendete denaro per ciò che non è pane e il vostro patrimonio per ciò che non sazia? (…) Comprate e mangiate senza denaro e senza spesa vino e latte”, fa immediatamente capire il non senso del darsi troppo da fare per cose di portata effimera e lascia intendere che le cose “di vero valore” non hanno prezzo, non sono quantificabili in termini di denaro… quindi sono gratuite. Non sono acquistabili perché già possedute… a patto di averne consapevolezza (fede appassionata).

Il comportamento “compassionevole” di Gesù la sera di quel giorno, il celebre giorno della “moltiplicazione dei pani e dei pesci”, lancia un chiaro messaggio per chi ha orecchie da intendere e desidera sinceramente uscire dal dilemma della scelta tra “urgenza” o “importanza”. Chi fatica ad uscire da questo dilemma finisce spesso per “dannarsi l’anima” dietro alle “urgenze”… perdendola:

E questo messaggio di Gesù non è nei termini di un “aut” “aut”… (o le cose urgenti o le cose importanti) che sarebbe oltretutto autodistruttivo, bensì nei termini di un “et” “et”. Gesù “moltiplicando i pani e i pesci” lascia intendere che si possono benissimo rincorrere le “urgenze”, ma nel contesto di una opzione fondamentale già avvenuta e presente quotidianamente per le cose “ importanti”. Come se avesse voluto far capire con quella “trovata” della moltiplicazione dei pani: “Io soddisfo il bisogno urgente di mangiare di questa sera… proprio perché capiate che la cosa “importante” è che  la vostra anima già è nutrita dalla mia presenza.

Non dovrebbe essere arduo per l’anima credente rinforzare, con il quotidiano aiuto dell’orazione,  questo baricentro (stare con Gesù è la cosa fondamentale… per questo ha inventato il “miracolo permanente” del “pane eucaristico”).

Ed allora ne trarrebbe giovamento il medesimo stato di salute dell’intera  persona…se è vero quanto scoperto dalle scienze umane in questi ultimi tempi: “Molte nevrosi dell’uomo moderno sono riconducibili a un non risolto problema religioso” (C.G. Jung).

E con questo non si vuole insinuare che “il credente” non possa essere soggetto a malanni nevrotici, bensì soltanto affermare che la vita è un universo di continui equilibri… e fortunato chi riesce, per grazia, a individuare presto il punto d’equilibrio fondamentale tra al di qua e al di là… tra  urgenza e importanza… tra terra e cielo… tra il “già godibile”” e il “non ancora totalmente godibile”.

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OMELIA del 24 aprile 2011 (Pasqua)

Sono contento come una Pasqua! … per essermi toccato in sorte di redigere l’omelia di questo giorno. Ed è stata proprio questa simpatica espressione a farmi riflettere sui concetti di “felicità” e di “gioia”, concetti apparentemente simili, ma dalle sfumature diverse.

Come scrive Susanna Tamaro: “…ma la felicità sta alla gioia come una lampadina elettrica al sole. La felicità ha sempre un oggetto, si è felici di qualcosa, è un sentimento la cui esistenza dipende dall’esterno. La gioia invece non ha oggetto. Ti possiede senza alcuna ragione apparente, nel suo essere somiglia al sole, brucia della combustione del suo stesso cuore”.

La felicità, quindi, si lega in genere ad un risultato ottenuto, ad un traguardo raggiunto, ad un desiderio appagato, ad un sogno realizzato.

La gioia, invece, implode dall’interno del cuore e dell’anima grazie alla consapevolezza di possedere già, per dono, quei risultati, quei traguardi inseguiti nella tenebra lampeggiante del tempo… di posseder cioè la luce fissa dell’immortalità… così come la tenebra del sepolcro conteneva già la luce della risurrezione.

Da qui l’espressione “contento come una Pasqua”, espressione che coglie nel segno proprio in ragione di quella parolina “come” (sono contenuto dalla “luce” anche se immerso nelle tenebre… come avvenne nel sepolcro quelle ore).

Ed è proprio il vangelo di oggi ad evidenziare, tra le tantissime altre sfumature, il fondamento di tale gioia, il fondamento della fede in Cristo risorto.

Essere contenti come una Pasqua significa pertanto smetterla di rincorrere la soddisfazione effimera dei desideri ed accontentarsi del bisogno soddisfatto di “immortalità” sepolto nel profondo del nostro cuore e della nostra anima… garantito dal Risorto.

“Sono contento come una Pasqua” equivale a: “Sono contento perché ho il dono della fede, perché credo”… e credo pur non avendo capito molto … anzi per aver smesso di voler capire.

Alla maniera di Giovanni e Pietro arrivati trafelati all’imbocco del sepolcro vuoto… di quella domenica mattina… piena di mistero…Così come annota l’evangelista: “Allora entrò anche l’altro discepolo e vide e credette… Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che Egli doveva risuscitare dai morti.”

Mi chiedo allora come mai tanta tristezza , mestizia, inquietudine e affanno nel cuore e sul volto di certi credenti che sembrano più appartenere al “club di Geremia” (quello delle lamentazioni…) più che non al club dei “salvati da Cristo”.

Ed è a questi fratelli, compresi quelli vestiti con i colori della porpora e del bisso, il cui cuore affranto impedisce al volto di aprirsi al sorriso che voglio dedicare questa ammonizione: “Non puoi impedire agli uccelli della tristezza di volteggiare sopra il tuo capo, ma puoi certamente impedire loro di farsi il nido tra i tuoi capelli”.

Il passaggio dal club dei perdenti di Geremia a quello dei vincenti di Gesù risorto per sempre… sarebbe così assicurato per sempre. Soprattutto perché Lui ci ha assicurato che sarà con noi fino alla fine dei tempi

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OMELIA del 6 febbraio 2011

Il ricorso all’uso delle metafore e delle immagini per trasmettere i concetti è antico quanto il mondo e risponde all’innato bisogno di conoscenza dell’essere umano alle prese con il mistero della vita.
Sono tante le parole della nostra lingua utilizzate e utilizzabili in senso metaforico, ma quello che appare più curioso è il fatto che parole così diverse tra loro nella loro accezione originaria letterale, risultano poi convergenti su un identico significato.
E’ il caso, per esempio, della parola “sale” e della parola “luce” che, anche nell’uso metaforico corrente, sono accomunate dal medesimo riferimento all’intelligenza…
Si dice infatti che “bisogna avere sale in zucca” e che “non bisogna perdere il lume della ragione”.
Avere “sale in zucca” può significare quindi di saper esercitare la capacità di accedere ai gusti e ai sapori profondi delle realtà della vita, così come “usare il lume della ragione” può significare di esercitare tale capacità nel senso di un vero discernimento riguardo ai valori fondamentali dell’esistenza, non limitandosi al primo colpo d’occhio ma spingendosi a vedere fino a dove arriva il raggio di luce.
Così come l’uso intelligente del sale esalta il sapore degli alimenti e l’uso intelligente della luce consente di osservare i contorni reali delle cose… allo stesso modo dovrebbe accadere per il comportamento da adottare nel vivere le relazioni interpersonali quale che sia la propria vocazione.
L’essere umano si nutre essenzialmente di “relazioni”. Dio stesso viene definito dalla teologia come “Relazione”… Sarà un caso, ma il Creatore che esordisce con la sua azione creatrice inizia con la luce…(”sia fatta la luce”) a cui seguirà poco dopo la terra (piena, come si sa, di Sali minerali).
Insomma l’uso metaforico delle parole “sale” e “luce”induce a muovere la nostra riflessione nell’ambito dell’intelligenza (gustare il mistero pur non vedendoci chiaro) e, di conseguenza, a vivere le relazioni interpersonali al modo del “sale” e della “luce”, in modo tale cioè da far trasparire il “sapore” vero delle realtà della vita che sono per lo più “invisibili”.
Tanto più quando si è investiti, misteriosamente, da una missione particolare.

Ed è il caso della consegna incoraggiante di Gesù fatta ai suoi discepoli narrata nel brano di vangelo di oggi. Va da sé che lo sfondo sul quale si situa tale consegna di comportamento è quella del Ragno di Dio.
Il ricorso, da parte di Gesù, all’immagine del “sale della terra” e a quella della “luce del mondo” in riferimento alla “modalità relazionale” che dovrebbe caratterizzare il loro essere “discepoli” sulla terra e nel mondo sembra condurre, tra le altre possibili, a queste conclusioni: così come il sale ha come caratteristica funzionale prevalente quella di esaltare il sapore degli alimenti e la luce quella di consentire la vista chiara di come muoversi verso una meta, allo stesso modo essere “sale della terra” e “luce del mondo” comporta di adottare una modalità relazionale di testimonianza capace di far accedere le “genti” al sapore profondo delle cose dell’anima onde vedano chiaro il vero traguardo del loro destino esistenziale.
E che tale modalità relazionale sia esclusivamente per “la gloria di Dio”, pena il rallentamento o addirittura il fallimento della propria missione!
Quando un discepolo, magari troppo zelante ed agitato, si espone eccessivamente nella testimonianza… è come se mettesse troppo sale oppure preferisse il sale alternativo delle proprie vedute (egocentrismo pastorale) o come se attirasse attenzione su di sé e non dirottarla per la gloria di Dio.
Troppo sale disturba il palato e la luce serve per vederci chiaro, non per fissarla rimanendone magari abbagliati…
Giusto equilibrio (da trovare di volta in volta nelle situazioni che mutano…) ed umiltà sembrano i due atteggiamenti relazionali di base indicati da Gesù ai suoi discepoli… in missione.
Un ‘altra volta dirà di essere “semplici come le colombe” e “prudenti come i serpenti”… fino a tagliar corto quando dirà, con sommo umile amore: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore”.

E ad imparare non si finisce mai… ecco perché sarà con noi fino alla fine del mondo.

 

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